Václav #69
16 - 30 aprile
La decisione di Gazprom di chiudere i rubinetti del gasdotto Yamal in direzione Polonia, a partire dal 28 aprile, segna il primo gesto concreto di un nuovo fronte aperto da Mosca contro l’Europa, quello energetico. Alle minacce delle settimane scorse di interrompere la fornitura di gas naturale russo in assenza di pagamenti in rubli sono seguiti i fatti. La Polonia si dice preparata all’emergenza grazie alle risorse accumulate e ha avviato da anni un percorso di smarcamento dal gas del Cremlino, che punta a completare prima dell’autunno. Salvo imprevisti.
Assai meno pronte a fronteggiare un eventuale stop al gas russo sono Slovacchia e Repubblica Ceca, che vi dipendono per l’85-95% del proprio fabbisogno nazionale. Entrambe stanno cercando, in ritardo, di prepararsi a reperire gas da altre fonti. In particolare puntano sul gas naturale liquefatto (Gnl), proveniente anche da un grande rigassificatore polacco e acquistato Oltreoceano. Diverso il discorso dell’Ungheria. Anche Budapest dipende fortemente da Mosca per la propria fornitura di gas, ma è disposta a pagarla in rubli, allargando quindi la profonda frattura che la separa dal resto dell’Ue e dagli altri Paesi dell’ormai fragilissimo gruppo Visegrád.
Intanto, continuano a tenere banco due temi, entrambi legati all’invasione russa dell’Ucraina. Il primo resta l’accoglienza ai rifugiati di guerra dei quattro Stati dell’Europa Centrale, nella quale si distinguono soprattutto le persone comuni e le iniziative dal basso, rispetto alle iniziative dei rispettivi governi. Il secondo riguarda la fornitura di armamenti al governo di Kiev, ma anche l’arrivo di strumenti difensivi - come i missili Patriot - per proteggere il fonte orientale della Nato e dissuadere Mosca da eventuali attacchi militari.
Diamo poi spazio a tante altre notizie politiche ed economiche dai quattro Paesi, concludendo con il ritorno della nostra Terza Pagina culturale. Ci occupiamo di arti figurative, cinema, storia e architettura, fotografia.
Buona lettura!
Il fronte del gas
Mentre buona parte dei Paesi occidentali discute se e come rinunciare all’acquisto di gas e altre materie prime dalla Russia, Mosca ha deciso di muoversi per prima, in un atto di guerra ibrida inedito da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina. Lo ha fatto il 28 aprile interrompendo i flussi di gas che arrivavano in Polonia tramite il gasdotto Yamal, come confermato dall’azienda statale polacca per l’energia PGNiG. La Commissione europea ha commentato la decisione del Cremlino definendola un ricatto, mentre da Varsavia filtra ottimismo sulla capacità di gestire l’emergenza grazie alle riserve accumulate sinora. Inoltre, nel marzo scorso, il governo polacco aveva anticipato che nel giro di sei mesi si sarebbe completato lo smarcamento dal gas naturale russo. Un traguardo che sarebbe raggiungibile con il previsto completamento del gasdotto Baltic Pipe entro settembre e con l’incremento della quota di gas naturale liquefatto (Gnl) acquistato altrove, soprattutto da Stati Uniti, Australia e Qatar. Un riepilogo dal sito di Cnn.
Il premier polacco Mateusz Morawiecki, intervenuto sulla questione, ha dichiarato che «gestiremo la cosa in modo che le famiglie polacche non notino nemmeno la differenza». Le rassicurazioni però si scontrano con i riscontri arrivati da alcune cittadine, le cui forniture di energia erano legate unicamente al gas venduto da Gazprom e distribuito attraverso Yamal. È il caso del paesino di Mieścisko, vicino a Poznań, dove la popolazione si è trovata improvvisamente priva di acqua calda e riscaldamento. Il Guardian ha dedicato a questo caso un interessante reportage.
Da settimane non vi sono consultazioni tra i Paesi del gruppo Visegrád, spaccato su temi alla base della sua nascita come la cooperazione militare ed energetica. Alla differente posizione sugli aiuti militari da fornire all'Ucraina, rifiutati dall'Ungheria in nome di un’asserzione pacifista, si è ora aggiunta una posizione sul gas russo diametralmente opposta a quella della Polonia, che ha portato alla chiusura del gasdotto Yamal da parte di Mosca. Deutsche Welle, avvalla la giustificazione ungherese basata sull’impossibilità di diversificare, neanche nel medio termine, gli approvigionamenti energetici, non disponendo di riserve carbonifere interne o dell'accesso ai gasdotti del nord ed essendo Budapest sbilanciata per tutto il mix energetico (gas, petrolio, nucleare) sulle forniture e tecnologie di Mosca.
Budapest ha accolto le richieste di Mosca di pagare le forniture di gas naturale in rubli, pur di continuare a garantirsi il suo regolare flusso. La posizione ungherese è stata ripetuta a distanza di poche ore dal ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó in un’intervista alla Cnn e poi in conferenza stampa a Zagabria, dove si era recato in visita ufficiale. Secondo Szijjártó l’approvvigionamento energetico è materia di sicurezza nazionale e primario dovere del governo. Ne parlano Il Fatto Quotidiano ed Euractiv. Nonostante il contratto a lungo termine stipulato, l'Ungheria non potrà impedire il rialzo del prezzo del gas pagato.
Diversa la reazione della Repubblica Ceca che, pur dipendendo per il 95% dal gas naturale proveniente dalla Russia, ha deciso di muoversi nel tentativo di diversificare le forniture per anticipare ogni possibile decisione avversa di Mosca nei suoi confronti. Secondo il portale DeníkN, da domenica 1 maggio il Paese inizierà a importare Gnl tramite la compagnia energetica slovacca Spp, che lo riceve già dagli Stati Uniti attraverso il rigassificatore dell’isola croata di Krk. Si discute inoltre se attivare un’intesa di questo tipo anche con la Polonia, che può contare su uno dei maggiori impianti rigassificatori d’Europa a Świnoujście, sul Mar Baltico.
Il governo Fiala ha inoltre predisposto un piano d’emergenza per prevenire eventuali improvvise carenze di gas naturale, nonostante le riserve nazionali siano triplicate rispetto all’aprile 2021. Nel peggiore scenario possibile, il piano prevede comunque che il gas arrivi a strutture strategiche come ospedali e nelle case di tutti i cittadini, sacrificando quindi solo attività commerciali e industriali.
Infine, la Slovacchia. Come riporta un dispaccio Reuters, il governo Heger non teme un immediato stop del gas russo, che oggi copre l’85% del fabbisogno nazionale. E questo nonostante Bratislava si sia sinora rifiutata di pagare il gas russo in rubli, come vorrebbe Mosca, ma anche di attivare un conto misto in euro e valuta russa presso la Gazprombank, come hanno invece fatto altri Paesi europei. Il 28 aprile la presidente della Repubblica, Zuzana Čaputová, ha confermato che per il momento gli accordi in essere con Gazprom verranno onorati con pagamenti in euro, come da contratti stipulati. Tutto questo in attesa di capire se l’Unione europea deciderà di porre o meno un embargo totale sul gas russo. Via Bloomberg.
Polonia
Voce ai rifugiati – Con numeri difficilmente verificabili, la quantità di persone fuggite dall’Ucraina e rimaste in Polonia supera ampiamente il milione di individui. Un dato che ha cambiato e cambierà ancora l’aspetto demografico di alcune città in Polonia, e che si aggiunge alle circa 80mila persone di passaporto ucraino che già prima della guerra vivevano e lavoravano sul territorio polacco. Come abbiamo già raccontato nei precedenti numeri di Vacláv, le relazioni tra Polonia e Ucraina hanno conosciuto alti e bassi e i rapporti della popolazione polacca verso quelli che erano, fino a pochi mesi fa, solo migranti economici non sono stati sempre dei migliori. Tuttavia, la situazione di emergenza attuale sta mostrando una grande capacità di accoglienza e integrazione, pur con le difficoltà del caso. Notes From Poland ha raccolto alcune storie di rifugiate ucraine che danno un quadro sincero e toccante della situazione.
Strategie agricole – Uno degli effetti collaterali, ma non per questo secondari, portati dall’invasione russa dell’Ucraina ha colpito anche l’agricoltura polacca, un settore molto importante dell’economia nazionale. L’inizio delle operazioni militari e le sanzioni alla Russia hanno portato a un ulteriore aumento del costo dell’energia e degli idrocarburi che, unito all’inflazione galoppante, ha portato Varsavia a cambiare parzialmente rotta sulle proprie politiche agricole. Come spiega questo articolo di Euractiv, il piano prevede la messa in sicurezza di risorse agroalimentari in caso di emergenza spostando su questo punto del bilancio alcuni dei fondi previsti per la transizione ecologica. Che però, fanno sapere da Varsavia, non è messa in discussione.
Strappo con Budapest – Il patto di ferro che univa il governo polacco e quello ungherese nel loro scontro comune con la Commissione europea sui temi dello stato di diritto sembra sempre più scollato. Le responsabilità dell’allontanamento sembrano essere tutte o quasi dovute alla parte magiara dell’alleanza, dopo che le parole e le azioni di Viktor Orbán e del suo governo sull’invasione russa dell’Ucraina sono state a dir poco fredde. Al contrario, la Polonia ha da subito chiarito la sua posizione di totale vicinanza all’Ucraina e di sostegno a operazioni che coinvolgessero la Nato.
Proprio negli scorsi giorni, come riporta il Wall Street Journal, il governo di Varsavia ha annunciato la fornitura di carri armati di produzione sovietica all’esercito ucraino per respingere l’invasione. Che i rapporti di Ungheria e Polonia con la Russia fossero radicalmente diversi era il segreto di Pulcinella della politica estera europea, e gli eventi degli ultimi mesi lo hanno solo reso più evidente. Su Notes From Poland, un’analisi della situazione e dei suoi possibili sviluppi
Ungheria
Orbán riceve il quinto mandato – Il 29 aprile il presidente della Repubblica, Jànos Áder, ha conferito l'incarico di formare il nuovo governo al primo ministro uscente Viktor Orbán. Niente di più scontato vista la schiacciante vittoria ottenuta dal premier nelle elezioni del 3 aprile, ma sarà, comunque, un governo che «dovrà adeguarsi ai veloci cambiamenti della vita e che dovrà dare risposte alle sfide epocali che l'Ungheria ha davanti», ha affermato Orbán, accettando l'incarico, racconta Hungary Today.
Le indiscrezioni parlano della conferma dei titolari dei dicasteri chiave, a partire da Sándor Pintér, che sotto Orbán ha sempre guidato il ministero degli Interni fin dal '98. Rimarranno anche Péter Szijjártó agli Esteri e Mihály Varga all'Economia. Verranno creati un ministero per l'Energia e la strategia economica e uno per i rapporti, delicatissimi, con l'Ue, che andrà a un moderato, il redivivo Tibor Navracsics, ex ministro della Giustizia nel 2012, poi commissario europeo. Nascerà anche il dicastero per l'Agricoltura e lo sviluppo rurale che vedrà il ritorno di János Lázár, uno dei luogotenenti di Orbán, che ha sconfitto nel proprio seggio il candidato premier dell'opposizione Péter Márki-Zay. Importante nomina anche quella della delega alla Famiglia: la sostituta di Katalin Novék, che il 10 maggio diverrà presidente della Repubblica, sarà Kinga Gàl, ora deputata Ue. La fiducia al nuovo governo è prevista, invece, per il 17 maggio. Via Live in Budapest.
Il silenzio di Orbán su Macron – Il governo ungherese non ha rilasciato alcun commento sui risultati delle presidenziali francesi. Un silenzio che non sorprende, dato che il riconfermato presidente Emmanuel Macron ha evocato come spauracchio per tutta la campagna elettorale il nome di Viktor Orbán a cui tra l'altro, non aveva inviato gli auguri dopo il trionfo nelle elezioni ungheresi. Orbán, con la sconfitta di Marine Le Pen, ha poi per il momento abbandonato le aspirazioni di imporre la sua linea sovranista in Europa, dice Le Monde. Simbolo dell'isolamento di Orbán è stata la sua prima visita ufficiale dopo la rielezione, non in un Paese Ue, non a Varsavia come quattro anni fa, ma in Vaticano. A Roma, Orbán ha provato a riesumare anche i contatti con un altro sovranista d'Europa in difficoltà, Matteo Salvini. Via Il Domani.
La Slovenia rifiuta l'orbanizzazione – Oltre alla Le Pen Budapest ha visto un altro alleato uscire sconfitto nella scorsa domenica elettorale, l'ormai ex premier sloveno Janez Janša. Come afferma sul Financial Times Danilo Turk, terzo capo di stato dell'ex Repubblica jugoslava, l'autoritarismo ha dimostrato di aver dei limiti. Utilizzando il modello ungherese, Janša era partito all'assalto del media, aiutato anche da imprenditori vicini a Orbán, diffamando con fake news i suoi oppositori. Ma la maggioranza degli sloveni ha rifiutato l“orbanizzazione” del Paese che lui aveva avviato, sottolinea Le Monde. Il compito di "deorbanizzazione" spetta adesso al vincitore delle elezioni, il liberale Robert Golob, che dovrà ricostituire lo stato di diritto e sbarazzarsi di nomine politiche imbarazzanti, in quello che si prospetta come un lento processo, nella speranza che gli sloveni sappiano aspettare.
Il deficit inedito – Per la prima volta da quando è al potere, Orbán si trova al cospetto di una situazione economica potenzialmente esplosiva, analizza il Financial Times: le folli spese elettorali, in cui Orbán ha bruciato circa 5 miliardi di euro, l'aumento dell'inflazione e il repentino rialzo dei prezzi dell'energia stanno rendendo sempre più difficile sostenere i conti dello Stato, che del resto non ha ancora incassato i fondi Ue a causa dello scontro sullo stato di diritto. Dietro l'angolo c'è anche il rischio del crollo della fiducia degli investitori e del declassamento del Paese da parte delle società di rating. Fare altro debito, prendere soldi sui mercati, è costoso, e aumenterebbe troppo il deficit, ma Orbán potrebbe tentare questa carta perché fiducioso di trovare infine un accordo con l'Ue. Un'altra opzione è quella di imporre nuove tasse su settori mirati, con il pericolo che le aziende trasferiscano questi costi sui consumatori finali.
Slovacchia
Čaputová in Italia – La presidente slovacca Zuzana Čaputová si è recata in visita in Italia, dove ha incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. I due capi di Stato hanno parlato delle relazioni bilaterali tra i due Paesi, ma hanno anche affrontato il tema dell’invasione russa dell’Ucraina, la necessità di ridurre la dipendenza energetica da Mosca, e della transizione ecologica. Ne dà nota Buongiorno Slovacchia. La visita è poi proseguita con l’incontro con la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, con cui Čaputová ha parlato soprattutto della gestione dei rifugiati ucraini. Il campo profughi di Michalovce, costruito dalla Protezione civile italiana e dalla regione Friuli Venezia Giulia e donato alle autorità slovacche è stato portato ad esempio della collaborazione e solidarietà condivisa tra i due Paesi. Lo scrive l’Ansa.
A margine degli incontri, Čaputová ha concesso una lunga intervista ad Agenzia Nova. Tra le varie cose, si è detta d’accordo con il premier italiano Mario Draghi sulla necessità di creare un registro globale delle ricchezze degli oligarchi russi. Ha inoltre dichiarato che Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina perché si sentiva di permettersi di farlo: non avrebbe mai osato attaccare un Paese della Nato, evidenziando come la stragrande maggioranza della società slovacca sia oggi contenta di appartenere all’Alleanza atlantica. In un intervento riportato da Open ha posto invece in guardia circa la possibilità che la Russia esca vincitrice dal conflitto con l’Ucraina. «Se dovesse essere così, nessuno sarebbe al sicuro» ha dichiarato. Per questo la Slovacchia è in prima linea nel fornire aiuto militare a Kiev, e a insistere con le sanzioni contro Mosca.
Operazione Crepuscolo – L’ex primo ministro Robert Fico è stato posto sotto indagine da parte dell’Agenzia nazionale criminale slovacca (Naka) mentre l’ex ministro dell’Interno Robert Kaliňák è stato arrestato. I due sono accusati di aver creato un gruppo criminale dedito a corruzione e abuso di potere. L’operazione, denominata “Crepuscolo” è strettamente collegata al caso “Purgatorio” che nel 2020 aveva portato all’arresto di otto funzionari accusati di corruzione a favore del partito di Fico (Smer). La storia su Associated Press e East Journal. Fico, che non è stato arrestato in quanto gode dell’immunità parlamentare, l’ha definita una «vendetta politica per liquidare l’opposizione». In una lettera inviata alle autorità dell’Unione europea ha parlato inoltre di «fine della democrazia in Slovacchia», e ha definito il proprio Paese «una macchia nella mappa europea per il rispetto dello stato di diritto». Lo riporta Euractiv.
L’arrivo dei missili Patriot – Sono arrivati i primi missili Patriot che verranno installati in territorio slovacco, parte integrante del sistema anti-aereo pensato per coprire il fianco esterno della Nato. Un arrivo funestato da un incidente. A causa della scarsa visibilità e del manto stradale scivoloso uno dei tre convogli provenienti dai Paesi Bassi è finito fuori strada mentre si trovava nella Repubblica Ceca. Sempre su Euractiv.
Poco propensi a combattere – L’impegno del governo slovacco nel conflitto non sembra però trovare corrispondenza nella società. Un sondaggio condotto dall’Accademia slovacca delle scienze (Sav), dall’agenzia Mnforce e dall’agenzia di comunicazione Seesame, ha rivelato che solo il 27,5% degli intervistati sarebbe disposto a imbracciare le armi in caso di espansione della guerra nel proprio Paese. Solo cinque anni fa alla stessa domanda aveva risposto positivamente il 50% delle persone. Secondo gli estensori del sondaggio questo calo si spiegherebbe con una scarsa fiducia nello Stato e una spaccatura geopolitica all’interno del Paese. Ne scrive Buongiorno Slovacchia.
Rifugiati in cerca di lavoro – Al 22 aprile erano più di 324mila gli ucraini in fuga dalla guerra che avevano varcato il confine con la Slovacchia. Di questi, 66mila hanno ottenuto protezione temporanea e intendono restare. La maggior parte ha deciso di trasferirsi a Bratislava e nella parte occidentale del Paese. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea e riportati da Schengen Visa Info i posti di lavoro disponibili per gli ucraini sono più di 32mila. Attualmente più di 2600 persone hanno trovato impiego come operai, addetti alla produzione, addetti alle pulizie, aiuti in cucina e magazzinieri.
Repubblica Ceca
L’investitura di Středula - Entro nove mesi la Repubblica Ceca avrà un nuovo presidente della Repubblica. Quello uscente, Miloš Zeman, non potrà infatti ricandidarsi per un terzo mandato e ci sono dubbi persino sull’eventualità che riesca a portare a termine quello attuale, visti i suoi cronici problemi di salute. Politologi e giornalisti cechi sono convinti da mesi che uno dei candidati forti alla presidenza sarà l’ex premier Andrej Babiš, nonostante gli scandali finanziari che lo riguardano, non ultimo l’annoso caso Agrofert. Qualora fosse così, uno dei possibili sfidanti del già primo ministro potrebbe essere l’esperto sindacalista Josef Středula. Sabato 30 aprile il 54enne leader della Confederazione dei sindacati di Boemia-Moravia ha ricevuto l’invito a candidarsi alla presidenza proprio dal presidente uscente Zeman. Un’investitura che il diretto interessato deve ancora decidere se accettare. Lo riferisce Radio Praga.
Verso il Consiglio dei diritti umani dell’Onu – All’inizio di aprile la Russia era stata espulsa dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite con 93 voti a favore, 58 astensioni e 24 pareri contrari. Il Consiglio ha sede a Ginevra, è una delle principali istituzioni dell’Onu ed è composto da 47 Paesi in carica con mandati triennali. Al momento, l’unico Stato dell’Europa centrale a farne parte è la Polonia. Oggi la Repubblica Ceca si candida ufficialmente, per prima, a prendere il posto lasciato vacante dall’addio della Russia. Lo ha confermato su Twitter il 29 aprile l’account ufficiale del ministero degli Esteri di Praga, come riferisce Kafkadesk.
Un russo aiuta i profughi ucraini - Dal 24 febbraio a oggi circa 300mila profughi ucraini sono transitati dalla Repubblica Ceca e molti vi sono rimasti. Migliaia di bambini ucraini frequentano ora le scuole ceche o classi apposite, ma per loro e le loro madri resta spesso difficile trovare un alloggio permanente e sicuro. Pavel Oskin è un fotografo russo 48enne che dal 2008 vive e lavora a Praga. Due mesi fa, assieme ad alcuni amici, ha deciso di ristrutturare un edificio abbandonato nella periferia nord della capitale ceca, che ospitava un supermercato vietnamita e avrebbe dobuto essere abbattuto.
Grazie anche all’equivalente di 19mila Euro raccolti all’uopo sui social, Pavel e i suoi amici lo hanno trasformato in un centro d’accoglienza per profughi ucraini. Oggi in quegli spazi con cucine e servizi igienici autonomi vivono 16 donne e bambini, fuggiti dalla guerra nel loro Paese, invaso dalle forze di Mosca. Tuttavia gli spazi creati da Pavel – che si sta adoperando anche per aiutare i profughi da lui ospitati a trovare lavoro – possono ospitare decine di altre persone. Per il fotografo russo questa iniziativa resta il modo migliore per contrastare la guerra voluta da Vladimir Putin, invece che imbracciare le armi. Una storia raccontata in inglese da France 24.
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Terza Pagina
Polonia e Ungheria alla Biennale di Venezia – Lo scorso 23 aprile ha aperto i battenti la nuova edizione della Biennale di Venezia, fra i Paesi presenti a questa edizioni vi sono Polonia e Ungheria. Il padiglione polacco quest’anno è rappresentato da un’artista molto peculiare, che propone una visione artistica e politica decisamente distante da quelle istituzionali. Małgorzata Mirga-Tas è di nazionalità polacca e rom, nata e cresciuta in una regione di montagna al confine con la Slovacchia e da sempre al centro di un incrocio di culture. Il progetto di Mirga-Tas consiste in una serie di grandi arazzi ispirati dagli affreschi di Palazzo Schifanoia a Ferrara. Raccontano da una prospettiva decolonizzata e femminista, il contributo della cultura e storia rom alla civiltà europea. Culture.pl ha intervistato l’artista a proposito della sua concezione e della sua partecipazione alla Biennale.
L'Ungheria soffre di un’atavica divisione al suo interno; quella ungherese è una società i cui membri sono costretti a vivere a stretto contatto l'uno con l'altro pur non riuscendo a capirsi e a parlarsi, se non a rischio di ferirsi. Parte da questo assunto, esemplificato dal dilemma del porcospino di Schopenhauer e largamente condiviso in Ungheria, è alla base del padiglione ungherese alla Biennale Arte 2022, curato da Zsofia Keresztes. L'opera, dal titolo ‘Dopo i sogni: oso sfidare i danni’, è stata inclusa nella lista delle migliori dieci della rassegna stilata da Artsy. L'artista riproduce le diverse membra del corpo umano staccate fra loro e infruttuosamente inserite in una composizione che richiama il classicismo italiano, richiamandosi anche al malinconico viaggio del protagonista del romanzo ‘Il viaggiatore e il chiaro di luna’ di Antal Szerb, ambientato nell'Italia degli anni ‘30.
Sequel di un cult ungherese – Nel film ‘A vizsga’ (L'esame) del 2011, un piccolo cult movie della recente cinematografia ungherese, l'agente dei servizi András Jung, aveva il compito di osservare e relazionare sulla fedeltà al socialismo di un certo numero di cittadini all'indomani dell’insurrezione del '56. Non sospettava che Markó, suo capo e mentore, spiava a sua volta il suo comportamento. In ‘A jatsma’ (La partita), in uscita nei cinema magiari, la scena si sposta sei anni più tardi, nel 1963, quando, dopo essere svanito nel nulla, Markó ritorna nella vita di Jung e cerca vendetta. La ricomparsa di Markó è avvolta nel mistero: ha frequenti amnesie, non sappiamo cosa percepisce e che relazioni abbia col mondo esterno, cosa lo motivi dal profondo. Anche in ’La partita’ Markó è interpretato da János Kulka, 64 anni, uno dei più amati attori ungheresi, entrato nella "Compagnia degli immortali", che, colpito da ictus nel 2016, ha lentamente recuperato i suoi ricordi, la facoltà di linguaggio, i movimenti e la conoscenza di inglese e francese, completamente dimenticate dopo il malore, la cui storia ha commosso il mondo artistico ungherese. Il film è presentato da Archyworldys. Qui il trailer del film.
Riapre la sinagoga di Pilsen – Costruita nel 1888, la Grande Sinagoga di Pilsen è stata per decenni il principale luogo di culto della comunità ebraica nella cittadina dell’ex Cecoslovacchia, oltre che la seconda sinagoga più grande d’Europa. Caratterizzato da un imponente stile moresco simile a quello della sinagoga Dohány di Budapest, il tempio di Pilsen venne chiuso dai nazisti, ma sopravvisse alle distruzioni della Seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra rimase in funzione come luogo di culto fino al 1973, ma cadde poi in un lungo periodo di abbandono con un primo restauro – parziale – solo negli anni ‘90. Nei giorni scorsi la sinagoga ha finalmente riaperto i battenti dopo un lungo restauro durato tre anni. Il sito inglese di Radio Praga ne racconta la storia, intervistando Barbora Freund, rappresentante della comunità ebraica di Pilsen.
Scatti in allontanamento da Mosca – La fotografia che vedete qui sotto è stata scattata nel 1993, meno di 30 anni fa. Ritrae le donne di tre generazioni alla fermata di un tram. Sullo sfondo si stagliano le ciminiere fumanti di un complesso petrolchimico, da qualche parte nella Repubblica Ceca, un Paese che all’epoca era appena nato in seguito alla separazione di velluto dalla Slovacchia. L’autore dello scatto è il fotografo statunitense Robin Graubard, il quale scelse Praga all’inizio degli anni ’90 come base per seguire da vicino la guerra nell’ex Jugoslavia. Sarebbe rimasto in Europa per anni, documentandone con particolare attenzione i luoghi liberatisi da poco dall’influenza sovietica, in particolare Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria. Scatti raccolti oggi nel suo libro fotografico ‘Road to Nowhere’ La vicenda sul Guardian.