Intellettuali disorganici
di Salvatore Greco
La sera del 7 ottobre del 2019, in un salotto televisivo dell’emittente commerciale Tvn, si parla di Olga Tokarczuk. Da giorni si rincorrono le voci che vedono la scrittrice polacca come una seria candidata alla conquista del Nobel per la letteratura. Parlarne è quasi d’obbligo. La giornalista Monika Olejnik chiede al suo ospite se ritiene Olga Tokarczuk una scrittrice importante, e l’uomo le risponde con un tono compassato e diplomatico di non aver mai letto un suo libro fino alla fine.
Sarebbero rimaste parole di poca importanza se Olga Tokarczuk non avesse poi ottenuto il premio Nobel pochi giorni dopo. E se a pronunciarle non fosse stato Piotr Gliński, ministro della Cultura, vicepremier e figura di grande rilevanza politica all’interno dei quadri di PiS (Diritto e Giustizia), il partito che governa la Polonia ininterrottamente dal 2015.
Quando l’annuncio del Nobel è arrivato, le reazioni del governo polacco sono state positive, ma fredde. Questo perché Olga Tokarczuk porta nel mondo un’immagine del Paese diametralmente opposta a quella che il partito di Jarosław Kaczyński promuove, e che apre un nuovo capitolo nello scontro con la categoria che più di tutte non riesce a colonizzare: quella degli intellettuali.
Le élite culturali in Polonia restano legate a una visione del mondo dagli orizzonti liberali e progressisti, lontani anni luce da quella di PiS. Da dove arriva, e dove è diretto, questo scollamento tra la politica culturale del governo e i massimi esponenti intellettuali del Paese?
Secondo Jakub Majmurek, pubblicista e critico culturale vicino agli ambienti del collettivo Krytyka Polityczna, le radici sono lontane: «La maggior parte degli intellettuali polacchi post ‘89 ha sempre avuto posizioni, magari non necessariamente di sinistra, ma di certo non di destra. Ha sempre mantenuto le distanze dagli ambienti di cui PiS è stata l’evoluzione e che già allora l’élite intellettuale guardava con distacco. Da quando PiS ha preso il potere, non è riuscito a invertire questa tendenza. E nonostante abbia occupato istituzioni culturali di vario genere, questo non ha avuto come effetto la creazione di intellettuali capaci di parlare al di fuori della cerchia più stretta degli ultraconservatori che erano già il loro pubblico».
Di questa incongruenza, Olga Tokarczuk è solo il primo esempio. Le opere dell’autrice si fondano su temi come il femminismo, l’animalismo, l’internazionalismo e l’apertura delle frontiere, che di certo non fanno parte del bagaglio culturale della destra polacca. Tanto che il festival letterario della Montagna che la Tokarczuk co-organizza da anni si è visto recentemente negare il sostegno ministeriale, con tutti i fondi della tornata girati sul salone degli editori cattolici e alla campagna Pochwalmy się Polską, Lodiamo la Polonia. Eppure, tutti i principali romanzi della Tokarczuk sono usciti negli anni di PiS al potere, e altrettanto è successo per i grandi riconoscimenti internazionali che l’autrice ha ricevuto, dal Booker Prize al Nobel.
Durante un’intervista rilasciata lo scorso dicembre al settimanale conservatore wSieci, interrogato sul tema della distanza tra gli intellettuali e il governo, il ministro Gliński ha risposto così: «L’opposizione degli intellettuali verso il governo non è il risultato di quello che succede nel campo della cultura. Non abbiamo fatto nulla che possa avere danneggiato le loro condizioni di lavoro, anzi». Secondo lui, il problema risiede «nelle relazioni coltivate negli anni, nei loro percorsi di vita, nella pressione della cultura globale e nella sottomissione ai media liberali, alle mode e al ricatto del politically correct».
Mariusz Szczygieł, autore di reportage e direttore della scuola di reportage di Varsavia, è un intellettuale schierato su posizioni avverse al governo PiS. A ottobre, poche settimane prima della proclamazione del Nobel a Olga Tokarczuk, è stato insignito del premio Nike, il maggiore riconoscimento letterario in Polonia. In una dichiarazione affidata alla sua pagina Facebook, Szczygieł ha spiegato che le ragioni della freddezza del governo verso i successi degli intellettuali dipendono dal fatto che PiS è un partito fieramente anti-intellettuale e trae vantaggio dal dividere la società in élite e popolo, schierandosi strumentalmente con quest’ultimo.
«Indipendentemente da quali sinecure il governo garantisca ai suoi artisti, o da quali fondi elargisca, non ne vengono fuori grandi libri, film o mostre, perché quelli che avrebbero voluto creare nuove e migliori élite culturali, semplicemente, non hanno alcun talento. Possono soltanto essere finte élite, eternamente frustrati dal fatto di sapere in cuor loro di essere degli usurpatori». Jacek Dehnel
Non è convinto di questa posizione Jacek Dehnel, autore di bestseller internazionali, ideatore della nascente associazione polacca degli autori e da sempre molto attivo su temi sociali e politici. Dehnel racconta che secondo lui non è vero che PiS sia disinteressato a conquistare gli intellettuali, anzi «Solo che si sono raccontati per anni una menzogna complottista finendo per crederci davvero, vale a dire che esista una sorta di salotto intellettuale dominato dalla sinistra che promuove solo sinistroidi, gay e cosmopoliti che sguazzano nella perversione e nell’ateismo, mentre la buona e grande cultura polacca cattolica e patriottica non può emergere perché le è tagliato l’accesso ai premi e ai finanziamenti. E che quindi, una volta al potere, sarebbe bastato cambiare i criteri con cui ripartire i fondi e gli artisti di destra avrebbero iniziato a brillare». Per Dehnel, PiS ha creduto che una volta al potere sarebbe bastato cambiare i criteri con cui ripartire i fondi e gli artisti di destra avrebbero iniziato a brillare. «Ma ora che sono loro a distribuire fondi e finanziamenti, ma ancora, come per cattiveria, gli Oscar li vincono i Pawlikowski [regista di Ida e Cold War, NdR] e i Nobel le Tokarczuk mentre agli incontri con gli autori “giusti” non va nessuno, perché non interessano a nessuno. Indipendentemente da quali sinecure il governo garantisca ai suoi artisti, o da quali fondi elargisca, non ne vengono fuori grandi libri, film o mostre, perché quelli che avrebbero voluto creare nuove e migliori élite culturali, semplicemente, non hanno alcun talento. Possono soltanto essere finte élite, eternamente frustrati dal fatto di sapere in cuor loro di essere degli usurpatori. E credo che questa sia una condanna sufficiente. Oltre alla derisione, naturalmente».
Quanto raccontato da Jacek Dehnel viene confermato da una serie di fatti ripercorribili all’indietro. Negli anni passati, il governo di PiS ha messo suoi uomini alla tv pubblica, ha sostituito, tra mille polemiche, i dirigenti del PiSf, l’istituto cinematografico polacco, ha provato e prova ancora a cambiare i dirigenti dei maggiori musei del Paese, e in più occasioni ha fatto pressioni per mettere figure di suo gradimento alla direzione dei principali teatri polacchi. Quello del teatro in particolare è un tema molto caldo. Da sempre, la drammaturgia in Polonia è la forma d’arte più politica e sperimentale. E nonostante questo, o forse proprio per questo, i vari governi PiS hanno provato nel tempo ad appropriarsene. Uno dei casi più eclatanti riguarda la direzione del Teatr Stary di Cracovia, fino al 2017 diretto dal regista di fama internazionale Jan Klata e passato poi nelle mani di Michał Gieleta, un uomo vicino al partito di Kaczyński. Klata è stato allontanato nonostante la contrarietà di attori e registi collaboratori stabili del teatro e, come racconta Majmurek, «praticamente l’unico risultato è stato la quasi totale demolizione del potenziale culturale di quel teatro».
Da sempre, la drammaturgia in Polonia è la forma d’arte più politica e sperimentale. E nonostante questo, o forse proprio per questo, i vari governi PiS hanno provato nel tempo ad appropriarsene.
Non si può insomma dire che PiS non provi a creare egemonia culturale che arrivi anche a comprendere le élite intellettuali. Del resto non si tratta di un capriccio né di un sogno totalitario, ma di un passo importante senza il quale la missione politica del partito di Kaczyński resterebbe incompiuta. Perché i grandi intellettuali, ma soprattutto i loro fruitori, costituiscono il tessuto sociale delle grandi città che PiS ancora non riesce a conquistare. Il consenso di cui gode in Polonia è già ampiamente sufficiente ad avere una maggioranza parlamentare solida, ma rischia di ancorare il partito al ruolo di espressione delle campagne e delle periferie. E Kaczyński e i suoi sanno che un grande Paese europeo non può essere governato senza le sue città più importanti.
Nonostante ciò, tutto fa credere che sia un programma di difficile attuazione. Pur con i mezzi che il ministero della Cultura ha stanziato, dice Majmurek, «l’offerta di PiS per chi lavora nella cultura è poco attrattiva. I molti fondi ministeriali hanno un prezzo, ovvero quello di produrre una forma di arte e cultura precisa, che ad esempio non tocchi alcuni dei tabù nazionali o che non apra controversie nella base elettorale del partito e che in generale abbia un valore pedagogico all’interno della missione di educare il popolo ai valori cattolici e nazionali. Non è un’offerta particolarmente allettante per gli intellettuali, e non c’è da stupirsi se non li convince».