Il chitarrista dei due mondi

di Lorenzo Berardi


Pochi sospetterebbero che uno dei più creativi chitarristi di tutti i tempi sia stato un ungherese. Eppure Gábor Szabó, scomparso nel 1982, fu un musicista dal talento sconfinato a cui solo una serie di circostanze sfortunate impedì di raggiungere la fama internazionale. Pubblicò album pionieristici e suonò con Louis Armstrong, Chick Corea, Miles Davis, Stan Getz, Dizzy Gillespie, George Harrison, B.B. King e Carlos Santana. «La sua era una musica fantastica e avvincente. Il feedback prodotto dalla chitarra di Gábor non era incontrollato come quello di Jimi Hendrix, ma simile al ronzio tipico della musica indiana. Ascoltandolo, rimasi incantato», ha dichiarato quest’ultimo, che gli è debitore. Szabó ha condotto il jazz in territori come l’ambient, la fusion, il rock psichedelico, l’acid jazz e il funky. Il tutto senza dimenticare le proprie origini magiare e unendo influenze musicali tzigane e orientali.

La scoperta del jazz in Ungheria

Gábor István Szabó nacque a Budapest nel ’36 e trascorse un’infanzia segnata dagli eventi e poi dai postumi della Seconda guerra mondiale, che si abbatté anche sulla capitale ungherese in modo devastante. La sua folgorazione per la musica avvenne per merito di un film western visto al cinema nella primavera del ‘49. Mancavano pochi mesi all’avvento del comunismo e alla nascita della Repubblica Popolare d’Ungheria che avrebbe bandito le pellicole yankee dalle sale del Paese. In quel film l’attore e cantante statunitense Roy Rogers – all’epoca noto come ‘il re dei cowboy’ – strimpellava motivetti country folk alla chitarra. Il tredicenne Gábor rimase incantato da quello strumento e dal modo spensierato in cui veniva suonato. Se ne accorsero i genitori che quel Natale gli regalarono proprio una chitarra acustica. Siccome prendere lezioni sarebbe costato troppo, il giovane Gábor ideò un personale metodo d’apprendimento dello strumento. Teneva conto degli ostacoli aggiuntivi presentati dalla sua chitarra, difficilissima da accordare in modo passabile. E avrebbe influenzato il suo modo di suonare, rendendolo unico e riconoscibile. 

Un'ulteriore fonte d’ispirazione musicale arrivò dalla radio. Nei primi anni ’50 Voice of America era ascoltata di nascosto da molti ungheresi – Szabó compreso – come alternativa alla propaganda diffusa da Radio Budapest. A partire dal ’55, l’emittente statunitense lanciò 'Voice of America Jazz Hour’ che per sei giorni alla settimana trasmetteva per due ore il miglior jazz del momento e permise ad artisti come John Coltrane, Duke Ellington e Oscar Peterson di venire apprezzati oltre la Cortina di ferro. Anche se la qualità della ricezione era scadente, il programma ebbe un grande impatto sul chitarrista autodidatta. Iniziò a suonare brani di Gerry Mulligan e Tal Farlow a orecchio, cercando di riprodurli fedelmente.

Un giovane Szabó appena arrivato negli Stati Uniti, a fine anni ‘50.

Un giovane Szabó appena arrivato negli Stati Uniti, a fine anni ‘50.

«Visto che tutto quello che era americano divenne illegale durante il comunismo, questo divieto mi trasformò in un appassionato di qualsiasi cosa provenisse dagli Stati Uniti. Quando ero così fortunato da procurarmi un album registrato Oltreoceano al mercato nero, mi costava l’equivalente di quattro o cinque settimane di stipendio. E in quelle rare occasioni altri musicisti di Budapest si riunivano nel mio appartamento per ascoltarlo assieme in religioso silenzio», rievocò Szabó anni più tardi in ‘Rising’, un documentario a lui dedicato visibile online. Il giovane chitarrista riuscì presto a mettere in pratica quanto appreso ascoltando Voice of America e i dischi acquistati illegalmente, esibendosi in localini della capitale. Faceva il turnista un po’ dove capitava, spesso senza compenso, ma rare erano le occasioni per suonare jazz, un genere musicale osteggiato dalle autorità comuniste in quanto emblema del capitalismo statunitense. 



Nell’autunno del fatidico 1956 l’Ungheria venne invasa dai sovietici. Se già sotto il socialismo magiaro la vita nel Paese non era semplice, con l’arrivo dei carri armati inviati da Mosca la situazione divenne insostenibile. E così, a partire da ottobre, circa 200mila ungheresi lasciarono il Paese: avrebbero trovato accoglienza in 37 nazioni. Fra di essi vi fu il ventenne Gábor Szabó. Una notte senza stelle, assieme alla fidanzata Éva e all’amico Tibor, raggiunse il confine con l’Austria e riuscì a varcarlo senza farsi scoprire. L’unico oggetto che aveva con sé era la scalcagnata chitarra ricevuta sei anni prima per Natale. Vi era affezionato e non poteva permettersene un’altra. Come rivelò anni dopo in un’intervista a Jazz Magazine, «credevo che nel caso in cui ci avessero beccati la chitarra sarebbe stato uno strumento riappacificatore. Al buio, tuttavia, assomigliava a una mitragliatrice. Ripensandoci, avrei potuto causare maggiori problemi portandola con me». 

Un gruppo di rifugiati ungheresi lascia il proprio Paese diretto in Austria nel novembre del 1956

Un gruppo di rifugiati ungheresi lascia il proprio Paese diretto in Austria nel novembre del 1956

I difficili esordi americani

Qualche mese dopo Szabó – raggiunto dai genitori – si era trasferito negli Stati Uniti, dove finalmente poteva suonare jazz senza restrizioni. Viveva in California, a San Bernardino, e vi formò un gruppo musicale, i Three Strings. Vista la concorrenza delle band della scena di Los Angeles, non riscosse molto successo. C’era poi un altro problema, evidenziato da Szabó in ‘Rising’: «Visto che nel mio Paese il jazz era stato trasformato in qualcosa di molto politico, quando arrivai negli Stati Uniti mi aspettavo di venire accolto dagli altri musicisti a braccia aperte, perché credevamo nella stessa musica. All’inizio non capii che pochi di coloro che venivano a sentirmi suonare erano lì per quello. Poi mi accorsi che erano più interessati a quanto potevo raccontare sull’Ungheria e sulla rivoluzione del ’56. Volevano sentire racconti sul sangue che scorreva per le strade di Budapest. Ma quando vidi mio padre e mia madre accettare i lavori più sottopagati che esistessero per mantenersi in California, questo mi spinse a credere nella mia musica per divenire un chitarrista di successo».

Capì che occorreva perfezionare conoscenze musicali, tecnica chitarristica e doti compositive per raggiungere il proprio obiettivo. Seguendo l’esempio dei genitori, iniziò a lavorare come bidello per mettere da parte i risparmi necesari a pagarsi gli studi alla Berklee School of Music di Boston. Nel ’58 i suoi sacrifici vennero ripagati: fu ammesso a Berklee e si trasferì nella East Coast. Vi studiò composizione e arrangiamento, ma soprattutto incontrò giovani e capaci musicisti come lui provenienti da tutto il mondo con i quali strinse molte amicizie. Il suo talento non passò inosservato e venne invitato a partecipare al prestigioso festival jazz di Newport. Qui suonò assieme al grande Louis Armstrong e finì su un paio di registrazioni live dell’evento. La sua chitarra è presente anche in due incisioni fatte da studenti di Berklee fra cui ‘Jazz in the Classroom Volume IV’ che comprende ‘Dilemma’, la prima composizione originale di Szabó su vinile. 



Quello stesso anno si esibì in vari locali di Boston e a uno di questi concerti conobbe Alicia: si sarebbero sposati nel giro di pochi mesi e trasferiti in California. Forte delle conoscenze acquisite, Szabó sperava di ottenere migliori fortune come musicista a tempo pieno nella scena losangelina, ma ancora una volta le cose andarono male. La vita di coppia era dispendiosa e divenne un agente immobiliare per sbarcare il lunario, suonando quando possibile. Un giorno incontrò il batterista Chico Hamilton, conosciuto nel backstage del festival di Newport. Questi stava cercando un nuovo chitarrista per il proprio gruppo e lo scritturò.

Il primo impatto di Gábor nel Chico Hamilton Quintet fu pessimo. Come spiegò lui stesso: «All’inizio cercai di imitare lo stile dei chitarristi jazz americani e suonai male. Così il terzo giorno mi cacciarono. Un anno dopo, però, mi richiamarono. E questa volta non cercai di copiare il modo di suonare altrui, ma di seguire il mio istinto musicale». Funzionò. Il giovane chitarrista divenne uno dei punti di forza del gruppo e Chico Hamilton – lo definì in seguito «un solista formidabile e un grande accompagnatore musicale dai tempi eccellenti. Sapeva quando suonare e quando non doveva».

Un’ascesa a ostacoli

Da componente del quintetto di Hamilton e suonando assieme al grande sassofonista Charles Lloyd, Szabó ebbe l’occasione di liberare il proprio talento. Tanto che nel ’64, la rivista specializzata Down Beatlo nominò miglior chitarrista dell’anno. Un riconoscimento che, assieme all’esperienza maturata sul campo, lo spinse all’esordio discografico di ‘Spellbinder' nel ’66. Sarebbe stato il primo di 19 album pubblicati nei 15 anni successivi. Anche se le vendite non premiarono mai il chitarrista ungherese e il sostegno della critica fu intermittente, già alla fine degli anni ’60 il suo sogno di divenire un musicista a tempo pieno si era realizzato. In questo periodo si trasferì con la moglie in una casa di Cordell Drive a Hollywood. Loro vicine di casa erano Liz Taylor e Katherine Hepburn. 

In una recente intervista al Budapest Business Journal, il tastierista ungherese János Másik ricorda quanto Szabó fu per lui un nome di riferimento quando si avvicinò al jazz. Eppure, visto che non era possibile trovare dischi di musica americana nell’Ungheria dei primi anni ’70, il connazionale d'Oltreoceano assunse un alone leggendario e Másik era convinto che fosse un musicista attempato. Grande fu la sua sorpresa quando, una sera d'estate del ’74, mentre improvvisava una jam session con il proprio gruppo in piazza Marczibányi a Budapest, gli si sedette accanto un uomo sulla trentina con una chitarra a tracolla. «Cosa suoniamo?» gli chiese. Si trattava di Gábor Szabó, appena tornato in madrepatria. L’Ungheria di diciotto anni dopo gli parve immutata e altrettanto oppressiva, anche se gli permisero di esibirsi alla televisione pubblica. «Da quando me ne andai, nel '56, questa è stata la prima volta che sono tornato a casa. L’ho fatto per curiosità. Sapevo che se non ci fossi andato ora, avrei potuto non farlo mai più», dichiarò al rientro negli States.

Szabó a New York in uno scatto dei primi anni ‘70.

Szabó a New York in uno scatto dei primi anni ‘70.

Gli anni successivi furono difficili, contrassegnati da poche esibizioni dal vivo con il suo Gábor Szabó Quartet e da rare uscite discografiche. Per liberarsi dall’abuso di alcool ed eroina, scelse un programma di disintossicazione di Scientology e questo determinò ulteriori difficoltà familiari – con il divorzio da Alicia nel '77 – e finanziarie. Szabó si sentì prigioniero del culto fondato da Ron Hubbard e cercò di affrancarvisi in tutti i modi, avviando anche un’infruttuosa battaglia legale multimilionaria. In cerca di tranquillità, riallacciò i legami con le proprie radici, tornando in Ungheria nel ’78 e poi nell’estate dell'81, quando vi si recò assieme alla sua nuova compagna, Marianne.

In madrepatria Szabó fece qualche concerto, venne intervistato dalla televisione pubblica e lavorò all'uscita europea del proprio disco 'Femme Fatale'. Le sue condizioni di salute, già precarie in seguito ai trascorsi eccessi, si aggravarono improvvisamente verso la fine dell'anno e il chitarrista venne ricoverato in ospedale. Sognava di tornare in California per registrarvi un album natalizio, ma non avrebbe più lasciato l'Ungheria dove oggi riposa al cimitero Farkasréti di Budapest. Il 26 febbraio del 1982, ad appena 45 anni, si spense nella capitale magiara per complicazioni al fegato e ai reni. L’ultima beffa del destino – postuma – fu un incendio divampato all’interno degli Universal Studios di Hollywood che il 1° giugno del 2008 distrusse anche centinaia di sue registrazioni originali.

Ascoltare Szabó oggi

Quel rogo non ha impedito alla musica del chitarrista ungherese di diffondersi. Il suo album più noto, ‘Jazz Raga’ del ’67' è stato ristampato nel 2011 ed è considerato un precursore della musica fusion e lounge, grazie al suo innovativo connubio di influenze indiane, ungheresi e psichedeliche. Per dare un’idea delle sonorità dell’album si può immaginare Django Reinhardt e Ravi Shankar lanciati a briglia sciolta su un tappeto sonoro composto da Piero Umiliani. Altrettanto eccezionale – e forse persino superiore per profondità compositiva e compattezza sonora – è ‘Dreams', uscito nel ’68. La copertina psichedelica che ricorda vagamente quella di ‘Revolver’ dei Beatles nasconde uno scrigno di veri e propri tesori chitarristici, quasi tutti composizioni originali. Impossibile poi non ricordare il già citato esordio del ’66 di ‘Spellbinder’, album che comprende uno dei capolavori di Szabó, quella ‘Gypsy Queen’ trasformata da Carlos Santana nella hit planetaria ‘Black Magic Woman’. 

Anche gli album pubblicati da Szabó negli anni ’70 – per quanto bistrattati dalla critica dell'epoca – sono di grande valore artistico; fra tutti spiccano ‘Small World’, uscito nel ’72, e ‘Mizrab’, pubblicato l’anno seguente. Ma non esiste un singolo disco di Gábor Szabó privo di ispirazione e virtuosismi, nonostante l’originalità dei suoi arrangiamenti sia andata scemando. Basta però un primo ascolto di ‘Nightflight’, album del ’76, per ritrovarvi in apertura l’insospettabile groove funky di ‘Concorde’ che fa capire quanto il chitarrista di Budapest abbia saputo restare al passo coi tempi. Si tratta di musica da riscoprire per tornare ad apprezzarne l’innovatività. Perché, come dichiarò Santana, «prima di ascoltare Gábor non sapevo che ci fossero così tante possibilità di suonare una chitarra».



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