Ultimo tango a Varsavia. Canta Adam Aston
di Lorenzo Berardi
È una fredda serata varsaviana di fine ottobre del 1932. Davanti alle due colonne ioniche illuminate a giorno all’ingresso del Morskie Oko di via Jasna 3, una folla di spettatori chiacchiera e fuma sigarette. Sotto ai cappotti pesanti e ai cappelli alla moda gli uomini indossano frac o smoking, mentre le donne sono in abito da sera e scarpe coi tacchi. Un pubblico esigente quanto elegante, accorso per assistere a un programma variegato, proposto da uno dei teatri musicali e di varietà più in voga della capitale. Il suo nome riecheggia quello di un leggendario lago sui monti Tatra, campeggia nell’insegna in verticale su un angolo della facciata e appare ogni mattina sulle pagine culturali o degli spettacoli dei maggiori quotidiani varsaviani.
Il locale ha un che delle music hall parigine, ma esprime anche una forte identità varsaviana, Chi lo frequenta abitualmente non è assillato da preoccupazioni economiche e vuole soltanto godersi la bella vita con un degno accompagnamento musicale. Fra gli artisti che quella sera si esibiranno sul palcoscenico del Morskie Oko ve ne è uno dal nome straniero, Adam Aston. Pochi fra gli spettatori presenti sono lì per lui. Alcuni forse sospettano che quell’Aston sia un vocalist inglese o addirittura americano, di passaggio per Varsavia. Al Morskie Oko, del resto, sono scritturati solo i migliori interpreti dell’epoca, compresi Mieczysław Fogg ed Eugeniusz Bodo, stelle della musica polacca d’anteguerra. Tutti loro sono habitué di questo locale e degli altri principali teatri di varietà della capitale quali l’Hollywood, l‘Adria, lo Stara Banda o il Caveau Caucasien.
Adam Aston è un nome d’arte. Non ha a che fare con il club calcistico inglese dell’Aston Villa, ma dovrebbe suggerire l’essere intonato. L’artista che lo ha scelto si chiama in realtà Adolf Stanisław Loewinsohn ed è nato a Varsavia, a poche centinaia di metri in linea d’aria dal Teatro Morskie Oko, il 17 settembre 1902. Adolf è un ebreo polacco. Ha studiato al Conservatorio, poi Legge, poi Odontoiatria, infine ha fatto carriera come rappresentante di liquori per una ditta olandese. Nel mentre non ha mai abbandonato il sogno di intraprendere una carriera musicale, incidendo la sua prima canzone su un disco nel 1927. Nel 1930 è divenuto voce solista del Chór Warsa, un trio canoro accompagnato dal pianoforte del compositore e jazzista Henryk Wars, suo coetaneo e anch’egli varsaviano. Il gruppo si è esibito per un paio d’anni in tutti i maggiori locali e café chantant della capitale, finendo persino sulla pellicola ‘Bezimienni bohaterowie’ (Eroi senza nome) del regista Michał Waszyński. Poco dopo il Chór Warsa si è sciolto e i suoi componenti hanno proseguito la propria carriera in solitaria.
Assieme a Wars, Aston sembra essere quello con maggiore talento fra loro. Tanto che, nel giro di brevissimo tempo, incide quarantadue brani con la prestigiosa etichetta Syrena Rekord. Suona molto bene il piano, vorrebbe divenire un cantante d’opera e studia persino direzione d’orchestra. Canta un repertorio inesauribile, che comprende valzer, foxtrot, blues, milonga, rumbe, marcette e l’occasionale habanera, ma il suo cavallo di battaglia sono i tango sentimentali. Nella Varsavia anni ’30 riscuotono sempre un grande successo, forse perché riescono ad abbinare il ritmo vorticoso e incessante della capitale di un giovane Stato che ha riacquistato l’indipendenza solo nel 1918 alla struggente malinconia insita nei suoi abitanti. Chi d’altra parte non è mai stato innamorato, almeno una volta? E chi non vorrebbe ballarci sopra un romantico lento per lenire il dolore di quel sentimento mal corrisposto?
Sul palco Adam Aston è un artista di gran classe e altrettanto carisma. Vestito in inappuntabili smoking con papillon, pettina i nerissimi capelli all’indietro, ha le labbra sottili e uno sguardo penetrante e obliquo, che ricorda vagamente quello della stella del cinema muto Rodolfo Valentino. Una presenza scenica che, assieme alla sua inconfondibile, languida, voce, fa colpo su molte donne, fra le quali l’attrice Lucyna Nowikow, con cui convola a nozze nel 1935. Accompagnato da orchestre di eccellenti professionisti, Aston riesce a cogliere appieno lo spirito di Varsavia, sia reinterpretando successi tradotti dall’inglese, che proponendo pezzi scritti per lui. Fra i primi figura la versione polacca di ‘Cheek to Cheek’ di Irving Berlin, divenuta ‘W siódmym niebie’, ossia ‘Al settimo cielo’. Fra i secondi, vi sono brani quali ‘Czemuś o mnie zapomniał’, ‘Ach, jak przyjemnie’, ‘Warszawo, moja Warszawo’ o ‘Rebeka’, tutti destinati a divenire grandi classici del repertorio jazzistico o tangueiro polacco di quei ruggenti, struggenti, anni ‘30.
Aston non è un compositore, come Wars, né un paroliere, ma ha la rara capacità di essere un interprete poliedrico, capace di cantare anche in francese. Inoltre, al pari di decine di migliaia di ebrei varsaviani, parla perfettamente sia l’yiddish che il polacco, quindi è capace di raggiungere un pubblico ampio e trasversale. Anche per questo appare in quattro pellicole dell’epoca – uscite fra il 1932 e il 1937 – e diviene presto una delle voci (e dei volti) più riconoscibili della Polonia d’anteguerra. I suoi concerti sono sempre affollati e i rotocalchi si occupano spesso di lui. Forse per tentare di sfuggire alla troppa notorietà o magari per non dare l’impressione di una sovraesposizione musicale, adotta una miriade di identità artistiche alternative, fra le quali Adam Wiński, Adam Stanisław Lewinson, Jerzy Kierski e Ben-Lewi. Quest’ultimo nome lo adopera esclusivamente quando canta in yiddish o in ebraico.
Da Leopoli a Montecassino
Nelle sue molteplici incarnazioni si calcola che incida su disco novecentosessanta canzoni e tutto questo in meno di un decennio di carriera. La sua ascesa nel firmamento musicale viene infatti bruscamente interrotta dall’invasione tedesca della Polonia del settembre 1939. Fuggito da Varsavia assieme alla moglie, Aston ripara per qualche tempo a Leopoli, allora città polacca occupata dai sovietici, per esibirsi nella Tea Jazz Orchestra creata dal sodale Henryk Wars. Nell’estate del ‘41, in concomitanza con l’attacco nazista all’Urss, gli Aston scappano ancora. Finiscono in Asia Centrale, nella remota repubblica del Kirghizistan. Qui soffrono i morsi della fame ma, grazie a un loro amico polacco che suona nell’Orchestra Sinfonica Kirghiza, riescono ad arruolarsi entrambi nel Secondo corpo d’armata polacco, guidato dal generale Władysław Anders.
Aston si esibisce nel teatro itinerante Polska Parada messo in piedi dal poeta, musicista e impresario Feliks Konarski (alias Ref-Ren) al seguito delle truppe polacche. Passando da Iran, Palestina ed Egitto assieme ai propri commilitoni, Aston arriva in Italia, prendendo parte alla battaglia di Montecassino. Non a caso, al suo repertorio si aggiunge ‘Czerwone maki na Monte Cassino’ (I papaveri rossi di Montecassino), celebre canzone dedicata all’episodio simbolo del sacrificio dei soldati polacchi nella Seconda Guerra Mondiale e scritta da Konarski il giorno prima dell’assalto decisivo. Nei mesi seguenti il brano verrà cantato da Aston sulle frequenze della BBC e anche ad Ancona – appena liberata dal Secondo corpo d’armata – l’11 novembre 1944, in occasione delle celebrazioni per la Giornata dell’Indipendenza della Polonia.
Secondo quanto indicato Francesco Matteo Cataluccio nella postfazione del romanzo ‘Il re di Varsavia’ di Szczepan Twardoch, tradotto da Francesco Annicchiarico ed edito da Sellerio, Adam Aston partecipa inoltre alla liberazione di Bologna. Anche se non risultano conferme scritte o fotografiche in merito, la presenza di Aston nel capoluogo emiliano quel 21 aprile 1945 pare certa. Ci piace immaginare l’artista che aveva fatto ballare, piangere e re-innamorare Varsavia pochi anni prima arrivare in Piazza Maggiore accolto da due ali di folla festante. Chissà se quella notte qualcuno gli ha chiesto di interpretare ‘I papaveri rossi di Montecassino’ o malinconici tango varsaviani su un palco improvvisato in un locale del centro storico bolognese.
Esilio e destino
Terminato il conflitto, arriva la smobilitazione delle truppe polacche e Adam Aston torna subito sul grande schermo. Appare infatti in una particina nel film ‘Wielka droga’ (La grande strada) girato negli studi romani di Cinecittà nel 1946 e che vede come protagonista, nonché chanteuse, la fascinosa Irena Jarosiewicz, futura moglie del generale Anders. La pellicola ripercorre la recentissima epopea delle truppe polacche in Italia e sottolinea come il loro compito non sia terminato, vista la necessità di lottare ancora per vivere in una patria libera. Non sorprende quindi che la proiezione del film venga impedita nella Polonia socialista che sta emergendo dalle ceneri della guerra e in cui persino i partigiani locali non comunisti sono visti con sospetto.
Colta l’antifona, gli Aston decidono a malincuore di non rientrare nella loro Varsavia, ridotta in rovina dagli occupanti nazisti, scegliendo la strada dell’esilio volontario all’estero. Per quindici anni vivono a Johannesburg, in Sudafrica, dove Adam lavora prima in una distilleria e poi in una cartiera. Non è chiaro se in questo periodo si esibisca o meno nei locali cittadini, ma di sicuro nel 1953 la rivista musiciale Billboard scrive di lui e dei suoi brani d’anteguerra. Nel 1959, a seguito di un problema cardiaco, Aston si trasferisce a Londra con la moglie Lucyna e, attorno alla metà degli anni ’60, riesce a visitare la Polonia, registrando una performance per Polskie Radio e rilasciando alcune interviste.
Tuttavia, solo nel 1984 l’etichetta Poljazz ha il merito di ripubblicare una parte del suo catalogo nel vinile ‘Adam Aston śpiewa stare piosenki’ (Adam Aston canta vecchie canzoni). Una riscoperta che purtroppo non rilancia la popolarità del suo interprete, visto il periodo complesso attraversato da una Polonia appena uscita dalla Legge marziale. Aston risiede a Londra fino alla scomparsa, avvenuta nel ‘93 alla veneranda età di novanta anni. Nel 2002 lo seguirà Lucyna. Oggi le ceneri di Adam Aston si trovano nel cimitero di Hoop Lane a Golders Green, storico quartiere della comunità ebraica londinese, senza targhe o monumenti che ne ricordino i fasti canori. Fra i fiori del prato in cui riposa l’artista, di tanto in tanto, spuntano papaveri rossi.