Gli angeli di Budapest
di Alessandro Grimaldi
Una cupola tra le colline
Salendo lungo le colline di Buda sulla via per Budakeszi, ai piedi dello Jánoshegyi, il monte più alto di Buda, si incontra, maestosa, un grande cupola retta da quattro muri di pietra angolari. Ai suoi lati due edifici rossi postmoderni. Sono la sezione scuola elementare e liceo dell'istituto Lauder, l'alternativa liberale per la formazione dei figli della comunità ebraica di Budapest, con i suoi 100mila membri la terza d'Europa. L'istituto, appena allargato con un nuovo progetto, comprende anche scuola d'arte e scuola materna. Davanti a quest'ultima da qualche anno una targa ricorda che proprio in quell'edificio durante la Seconda guerra mondiale accadde l'impensabile: le SS tedesche aiutarono gli ebrei a sfuggire alle deportazioni. Mi racconta questa storia Margit, insegnante della Lauder, che è anche grande esperta e appassionata di arte italiana.
Il convento della Beata Katalin
Nel '44 qui c'era un edificio a due piani, il convento della Beata Katalin, con un bel colonnato d'ingresso, che era stato appena riconvertito per ospitare pensionato e laboratorio di sartoria dell'istituto professionale femminile Klara. La scuola, nata nel popolare distretto di Ferencváros, aveva come fiore all'occhiello i corsi di taglio e cucito e la casa di moda le cui creazioni erano poi esposte vetrine dei due negozi che la omonima casa di moda Klara aveva aperto a Párizsi utca e Bécsi utca, nel cuore della città interna di Pest. Era una scuola eterogenea e multiculturale, che rispecchiava la Budapest del tempo, frequentata al contempo da cristiane ed ebree. Dal '38, con il riarmo e l'avvicinarsi degli spettri della guerra, la sartoria era passata a occuparsi di forniture militari per l'esercito.
Nel maggio 1938 l'Ungheria del reggente Miklós Horthy, precedendo di qualche mese l'alleato italiano, emana la legge per “l'assicurazione di un maggior equilibrio nella vita sociale ed economica", ovvero la prima legge ebraica. Seguiranno la seconda e terza legge ebraica nel '39 e '41. Gli ebrei ungheresi sono senza diritti, diventano la forza lavoro gratuita per i lavori pesanti di complemento in guerra e per i campi di lavoro obbligatorio, ma non vengono consegnati ai tedeschi una volta pianificata la soluzione finale, come avviene nei Paesi occupati. La situazione precipita il 19 marzo del ‘44, quando le truppe tedesche entrano in Ungheria e ottengono i comandi militari. In poche settimane verranno deportati verso i campi di sterminio centinaia di migliaia di ebrei ungheresi. Donne e bambini ebrei di Budapest sono confinati nel ghetto cittadino. La sartoria, che ha ottenuto anche la tutela della nunziatura, è uno dei luoghi di lavoro in cui le ungheresi di religione ebraica possono sentirsi al sicuro. Si trasferiscono lì oltre un centinaio di donne e bambini. A luglio tutte accettano di farsi battezzare.
In molte non avevano mai visto una macchina da cucire in vita loro, ma imparano subito il mestiere. Tra queste anche la moglie del futuro allenatore del grande Torino, Ernő Erbstein (che aveva magiarizzato il cognome in Egri), e le sue due figlie Zsuzsanna e Márta.
A dirigere e dare loro una parvenza professionale viene scelta Gitta Mallász, un'artista grafica nata a Lubiana figlia di un ufficiale di alto rango dell'esercito. Ha imparato l'ungherese a 15 anni, quando è stata costretta a trasferirsi a Budapest alla fine della Prima guerra mondiale. Accetta anche con la prospettiva di poter salvare le sue più care amiche, Hanna e Lilli, ebree.
Le Croci Frecciate
Il 16 ottobre le Croci Frecciate, i filonazisti ungheresi, salgono al potere. Anche se il ministero della Guerra aveva confermato il permesso di lavoro per le 81 operaie ebree accreditate nella beata Katalin, il 5 novembre forza il cancello dell'istituto e irrompe nel cortile un gruppo di persone armate in divisa. Hanno scoperto il vero scopo della sartoria militare. Li guida András Kun, detto Padre Kun, perché aveva studiato in seminario, a Roma. In Italia era entrato in contatto con ambienti fascisti. Espulso dal convento e tornato a Budapest aveva fatto velocemente carriera nelle Croci Frecciate divenendo il temuto comandante del XII distretto, quello delle colline di Buda. Veste in abito talare, con una fascia rossa da cui pendono pistola e pugnale.
Prima terrorizzano le donne: le costringono a chiamare parenti e amici nascosti in città e invitarli alla villa. Racconta Zsuzsanna: «Nel frattempo avevano le pistole puntate contro di noi, se avessimo provato a far intendere qualcosa non avrebbero esistato a sparare. C'era da credergli. (...) A un certo punto è squillato il telefono, era per me. Mentre parlo con mio padre gli dico in italiano "aiutami". Lui dopo una breve pausa risponde, sempre, in italiano ‘Ho capito tutto’».
Poi le fanno uscire, incolonnare su due file, marciare. Zsuzsanna è convinta di essere in marcia verso la morte. «Speravamo che accadesse in fretta, senza soffrire», ma dopo mezz'ora di cammino un'auto raggiunge la fila, un uomo esce dall'auto e presenta a Padre Kun un certificato. La colonna fa ritorno indietro.
I nostri vicini, le SS
Il lavoro della sartoria continua come se nulla fosse successo, ma tutti sanno che non è così e che le Croci Frecciate torneranno. Fanno irruzione nuovamente nella villa il 2 dicembre. È il giorno in cui le porte del ghetto di Pest vengono chiuse e in cui la radio annuncia che l'Armata rossa ha completato l'accerchiamento della città.
Gitta sa che ormai nè il ministero nè la nunziatura hanno potere di frapporsi alle Croci Frecciate. A chi altro rivolgersi se non ai vicini e i vicini non sono come gli altri, in quei giorni. La villa accanto ha alle sue spalle i boschi del monte Jánoshegy. Appartiene a un ricco industriale fuggito per tempo all'estero, da settimane è stata requisita dai nazisti e lí si sono sistemate le SS. Hanna che era andata a studiare belle arti a Monaco di Baviera, nella Germania di Weimar, ha da poco rivisto un collega, diventato nel frattempo grafico per la Wehrmacht Zeitung, il giornale dell'esercito tedesco. Insieme a Gitta hanno scritto anche loro un articolo sullo stesso giornale, e ora Gitta figura come collaboratrice della Wehrmacht, sancito da un documento con tanto di svastica nazista. È con questo documento che Gitta si presenta un giorno dalle SS. Ne nasce un rapporto di buon vicinato. Mentre gli ufficiali sono via tutto il giorno, sartine e soldati si scambiano visite quotidiane, regali, vino e torte. Si decide di tenere aperto un passaggio nella recinzione comune.
La fuga
All'arrivo delle Croci Frecciate, Gitta chiede aiuto ai tedeschi, che alla loro vista si fermano interdette. (Le Croci Frecciate erano in genere in uno stato di subalternità verso i tedeschi). È il momento giusto, le donne si passan parola di scappare, chi può attraversa il varco e fugge nei boschi.
Le SS stanno proteggendo la fuga degli ebrei dalle deportazioni, armi alla mano.
Quando le Croci Frecciate entrano all'interno del convento lo trovano quasi vuoto. Del centinaio di operaie sono rimaste solo in 13: chi era malata e non poteva scappare e chi non ha voluto, come Hanna e Lilli. Verranno deportate a Ravensbrück, il più grande campo di concentramento femminile sul territorio tedesco, a 80 chilometri da Berlino. Auschwitz era già stata evaucata nel novembre '44. All'arrivo al campo inizialmente i lunghi capelli buondi di Lilli non vengono tagliati. Le guardie del campo si girano sempre quando passa. Quando perde anche lei la sua chioma capisce che è finita. Hanna e Lili muoiono lo stesso giorno, il 1 marzo 1945. È un colpo duro per tutte, erano quelle che davano con il loro ottimismo ed esempio la forza a tutto il campo di andare avanti.
Di loro, l'unica a salvarsi è Eva Dànos. Racconterà la storia sua e delle amiche nel libro ‘Prigione su ruote’ (uscito anche in francese col titolo ‘Le dernier convoi’ per i tipi di Albin Michel nel 2012).
I SALVATI
Zsuzsanna e Márta
Zsuzsanna e Márta sono tra le operaie che riescono a scappare. Trovano rifugio in città, a Pest, dove i russi già combattono da settimane e che cadrà un mese prima di Buda. Le ospita l'altra sorella Jolan, che aveva sposato un cattolico e non era stata costretta a spostarsi nel ghetto. Si procura dei documenti falsi, a nome Zsuzsanna Beres. In tasca ha anche un attestato di frequenza di corsi della Croce Rossa. Si sente doppiamente protetta. Dopo la guerra segue in Italia il padre Ernő, che torna ad allenare il Torino dopo l'epurazione del '38, susseguente alle leggi razziali. Resterà a Torino anche dopo la tragica morte del padre nello schianto di Superga, fonda una scuola di balletto e diventa una delle maggiori insegnanti e coreografe d'Italia. Oggi ha 97 anni e continua a sentirsi ungherese, anche se non è quasi più tornata in patria. Marta è diventata invece un'affermata psichiatra di Milano.
Ágnes Kepes
Tra le ragazze scampate al rastrellamento c'è anche Ágnes Kepes, che poco incline ai lavori manuali (nel modo di dire ungherese "aveva due mani sinistre") era colei che accudiva i bambini. Senza di lei Budapest non avrebbe avuto la prima biblioteca per l'infanzia della città, ancora presente in un angolo silenzioso di piazza Ferenc Liszt. Si narra che tale era il suo amore per la letteratura che non volesse abbandonare il suo rifugio in città, non più sicuro, per non interrompere la lettura de ‘La montagna incantata’ di Thomas Mann.
I SOMMERSI
Hanna, Lilli, József
Hanna era figlia di una ricca famiglia ebraica assimilata. Hanna e Gitta si erano conosciute sui banchi della Scuola di Arti Applicate di Budapest. Entrambe erano figlie di quell'Ungheria che, anche in maniera a volte ingenua, era sinceramente patriottica e orogogliosa della propria cultura. In comune avevano l'amore e lo studio per il folklore nazionale le arti popolari. Amore manifestato anche nel loro modo di vestire fatto di abiti tradizionali di pizzi, gilet riccamente decorati, gonne di diversi colori una sull'altra, canestro di vimini in mano. Aprirono negli anni '30 un loro studio di design, e disegnarono, in uno splendido stile art decò spesso utilizzando motivi folk, i manifesti pubblicitari dell'Ungheria che facevano bella mostra di sè nelle agenzie di viaggio di mezza Europa. Anche l'articolo scritto sulla Wehrmacht Zeitung parlava di folklore ungherese.
Pian piano però nasce un senso di straniamento: "Avevamo la sensazione che la nostra vita poggiasse su un abisso" scrive Gitta. Affittano una casa in comune sulle colline di Buda alla ricerca di silenzio e introspezione, accettano solo pochi lavori. Insieme a loro ci sono anche József, marito di Hanna, e Lilli, l'altra amica di sempre, insegnante. Non sono particolarmente religiose, ma dai loro incontri nasce un sincretismo, rivelato dalla loro voce interiore, l'Angelo, che mescola gli insegnamenti cristiani alla cabala ebraica e alla Via del taoismo. "Non era una filosofia, una religione, un catechismo, bensì un percorso individuale". Gli incontri con il proprio angelo, che ora racconta storie, ora si esprime in poesia, saranno in tutto 88, continueranno a Pest e poi nel capanno in legno nel cortile del convento. Verranno raccolti da Gitta nel libro Az angyal valasz (pubblicato in Italia nel 2007 da Edizioni Mediterranee, a cura di Paolo giovetti col titolo Dialoghi con l'angelo.
Ha detto Juliette Binoche, letteralmente conquistata dal libro, regalatole da un'amica e letto tutto d'un fiato durante una convalescenza: “È una storia di amore nei momenti più tragici della guerra. I protagonisti accettano il loro destino e gli orrori che appaiono loro davanti e hanno la forza di continuare lo stesso. Anche mentre attraversiamo l'oscurità possiamo trovare la luce che ci rende felici".
- Fonte: “Elágazó ösvények kértje” (Lauder Javne iskola)