Judit Polgár, la regina degli scacchi

di Lorenzo Berardi


Lo scatto è in bianco e nero e risale al 1988. Ritrae due donne davanti a una scacchiera. Quella sulla destra è Diane Savereide, ha 33 anni ed è stata per sei volte campionessa statunitense di scacchi. Ha il capo chino sui propri pezzi neri e il volto coperto da un cappellino scuro in stile nouvelle vague. Pare alquanto preoccupata. Di fronte a lei, sulla sinistra della foto, si vede una ragazzina imbaccuccata in un largo maglione. Distoglie lo sguardo dalla scacchiera, come se fosse infastidita dal fotografo alle sue spalle. Quella ragazzina ha solo dodici anni e si chiama Judit Polgár. Viene dall’Ungheria ed è la sorella minore di altre due giovani scacchiste, Zsuzsa e Zsófia, rispettivamente diciannovenne e quattordicenne. 

Judit Polgár contro Diane Savereide a Salonicco 1988. Foto di Lars Grahn

Judit Polgár contro Diane Savereide a Salonicco 1988. Foto di Lars Grahn

La foto venne scattata a Salonicco, in Grecia, durante la 26° edizione dell’Olimpiade degli scacchi e Judit vinse quell’incontro in sole trentuno mosse. La promettente nazionale ungherese femminile – della quale facevano parte le tre sorelle Polgár e la cui quarta componente, Ildikó Mádl, aveva diciannove anni – si aggiudicò a sorpresa il titolo a squadre, prevalendo sull’Unione Sovietica, che aveva vinto dieci edizioni su undici. Judit Polgár fu la rivelazione delle Olimpiadi di Salonicco, tanto da risultarne la miglior giocatrice per punteggio complessivo, ma nonostante la sua tenera età il suo nome era già noto agli addetti ai lavori. Due anni prima, aveva sconfitto il proprio primo maestro internazionale e l’anno precedente si era imposta persino sul grande maestro internazionale sovietico Lev Gutman. Affermazioni che avevano fatto di quella bambina ungherese un autentico prodigio scacchistico, capace di offuscare persino la fama delle sorelle Zsuzsa e Zsófia, entrambe destinate a una buona o luminosa carriera.



Un’educazione familiare

Judit Polgár era nata a Budapest il 23 luglio 1976. Suo padre, László, era uno psicologo educativo di origine ebrea e membro del Partito socialista operaio ungherese Mszp, che lasciò polemicamente nel 1981. Aveva sposato un’insegnante di lingue straniere ucraina, Klára, dopo un bizzarro corteggiamento epistolare, convincendola a mettere su famiglia con lui per dedicarsi assieme a un esperimento formativo. Studioso delle biografie di bambini prodigio e a sua volta autore di libri su come creare dei piccoli geni in casa, László sperimentò queste teorie sulla propria prole con l’aiuto di Klára. Voleva dimostrare che il talento di un individuo in un ambito specifico non è innato, ma può essere costruito durante l’infanzia, seguendo un programma di pratica quotidiana, stimoli intellettuali e studio mirato. Ottenuto l’inusuale permesso dalle autorità comuniste dell’epoca di non mandare  Zsuzsa, Zsófia e Judit a scuola, lui e la moglie le istruirono privatamente, insegnando loro inglese, tedesco, russo, esperanto, matematica avanzata e, appunto, il gioco degli scacchi. 

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Su come questi ultimi divennero parte fondante del programma educativo di casa Polgár esistono due versioni. La prima, razionale, è che gli scacchi furono scelti a mente fredda da László e Klára quale strumento perfetto per accrescere il talento delle proprie figlie convogliandolo in un’attività dall’esito misurabile, anziché legata a percezioni soggettive come le arti figurative o la musica. Una decisione resa ancora più logica dall’ottima reputazione di cui il gioco godeva nei Paesi oltre l’ex Cortina di Ferro e dall’elevato numero di grandi maestri internazionali di origine ebrea. 

La seconda versione, romanzata, racconta che un giorno la quattrenne Zsuzsa rimase affascinata da una scacchiera scovata in un cassetto della cucina di casa Polgár. La madre le disse di non conoscere le regole del gioco, ma che papà gliele avrebbe insegnate volentieri. Questa storia, diffusa da Zsusza, contraddice il fatto che Judit abbia dichiarato di aver appreso le sue prime mosse proprio da mamma Klára. Ad ogni modo, tutte le sorelle concordano che spiando le lunghe lezioni impartite da László a Zsusza nel soggiorno di casa anche Zsófia e Judit si fecero incantare da torri, alfieri, cavalli, re e regine. Entrambe vennero ammesse alle sessioni d’insegnamento a patto di apprendere le regole del gioco, divenendo allieve del padre – che Judit batté per la prima volta a cinque anni – e di Zsuzsa. Quello stesso anno la minore delle sorelle sconfisse un amico di famiglia che, per sdrammatizzare, le disse «Tu sei brava a scacchi, ma io sono un bravo chef». Una frase alla quale Judit rispose: «Cucini senza guardare i fornelli?»

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Quali che fossero i suoi esordi a casa Polgár, lo studio e la pratica ossessiva degli scacchi contraddistinse l’infanzia delle tre sorelle. Il soggiorno del piccolo appartamento in un casermone di edilizia popolare di Budapest nel quale vivevano era stipato da centinaia di libri sugli scacchi e da un immenso schedario cartaceo a cassetti contenente migliaia di possibili varianti catalogate per aperture, mentre una parete era tappezzata di illustrazioni dedicate a memorabili sfide del passato. Per forgiare il talento delle figlie e renderle delle prodigiose scacchiste poliglotte, i genitori avevano bandito la televisione e scoraggiato contatti con i loro coetanei. Gli unici svaghi inseriti nella scaletta formativa erano qualche nuotata in piscina, un po’ di ping pong e venti minuti quotidiani dedicati a raccontarsi facezie. 

Di tanto in tanto, a spezzare la routine quotidiana, arrivavano i tornei. Inizialmente Zsuzsa Polgár era stata accolta nei fumosi club scacchistici di Budapest – all’epoca solo maschili – da sguardi e sogghigni increduli, ma le sue rapide vittorie in sequenza fecero sì che quando venne il turno di Zsófia e di Judit, tutti le prendessero sul serio. Al punto che nel 1984, le due bambine – di sette e nove anni – giocavano già incontri di scacchi alla cieca, sfidando maestri locali, con le spalle rivolte alla scacchiera. In una di queste esibizioni, si lamentarono per la lentezza del proprio avversario adulto e chiesero che venisse adoperato un cronometro per velocizzare la sfida. In altre occasioni le impazienti Zsófia e Judit raggranellavano qualche fiorino divertendosi a sconfiggere uno dopo l’altro, in match di dieci minuti, gli adulti che si riunivano ai tavolini da scacchi di Kálvária tér, nei pressi del loro appartamento di Budapest.


Tre sorelle sorprendono il mondo

Successo dopo successo in Ungheria e in Europa, la reputazione delle sorelle Polgár crebbe a tal punto che nella primavera del 1985 Zsuzsa e Zsófia parteciparono al prestigioso New York Open. Nel torneo statunitense, la quindicenne Zsuzsa sconfisse un grande maestro e pareggiò con un altro, mentre Zsófia – di cinque anni più piccola – si cimentò con alcuni appassionati locali, uscendone quasi sempre vincitrice. Entrambe vennero salutate con entusiasmo dalla stampa americana, guadagnandosi un articolo sul New York Times. I giornalisti d’Oltreoceano non scrissero che a Budapest era rimasta una terza sorella, Judit, ritenuta la meno talentuosa delle sorelle Polgár, ma anche quella più determinata a migliorarsi. L’avrebbero conosciuta nell’edizione successiva del torneo newyorkese, quando vinse tutti i propri incontri, sbalordendo l’inviato del New York Times, il quale in un articolo di prima pagina la descrisse come: «Una bambina piccola, paffuta e dall’aria seria che siede quietamente davanti alla scacchiera, il suo volto impassibile, di tanto in tanto lanciando rapidi sguardi al proprio avversario».

Anche l’arbitro capo del torneo, Jeffrey Naier, rimase colpito da Judit: «Non si tratta soltanto di talento, che certamente possiede, ma di disciplina. Questa bambina, come le sue due sorelle, lavora con gli scacchi. Tutte e tre lo fanno per otto o nove ore al giorno». Un allenamento quotidiano che era divenuto un’abitudine per le Polgár, trasformatesi in giocatrici competitive e ansiose di migliorare ancora. L’aspetto economico del successo, per loro secondario, era invece fondamentale per il padre, che spesso impedì ai giornalisti di intervistare le figlie ancora minorenni in assenza di lauti compensi. Una scelta motivata dal fatto che, come spiegò al Washington Post nel 1992, ogni chiacchierata con la stampa significava perdere tempo prezioso altrimenti dedicato alla scacchiera, poiché: «La nostra professione non è quella di fare gli intervistati, bensì di giocare a scacchi. Se i giornalisti si comportassero meglio e sottraessero meno tempo alle mie figlie, oggi tutte loro giocherebbero a scacchi a un livello ancora più alto».

Nonostante le sgradite interferenze della stampa nella loro crescita agonistica, le Polgár conquistarono gli scacchi al femminile – e non solo – per molti anni. Curiosamente, quella che era ritenuta la sorella dotata di maggiore talento per il gioco, Zsófia, fu anche colei che raggiunse i risultati meno sensazionali, divenendo una delle migliori scacchiste al mondo e vice-campionessa mondiale juniores nel 1994, ma senza mai ottenere il titolo di grande maestro internazionale. Che avesse un incredibile potenziale, lo dimostra il fatto che nell’estate del ’93 sconfisse Bobby Fischer in tre incontri consecutivi di Scacchi960 – la versione del gioco ideata dal campione statunitense – quando questi era ospite dei Polgár in Ungheria.  Zsuzsa, invece, divenne chessmaster nel 1991 e fece incetta di allori iridati, confermandosi campionessa mondiale femminile di scacchi dal ’96 al ’99, oltre a vincere dodici medaglie alle Olimpiadi degli scacchi. Risultati incredibili, ma che impallidiscono di fronte a quelli conseguiti dalla sorella minore, Judit. 

Le tre sorelle Polgár a inizio anni ‘90. Da sinistra, Zsuzsa, Zsófia e Judit. Foto da www.juditpolgar.com

Le tre sorelle Polgár a inizio anni ‘90. Da sinistra, Zsuzsa, Zsófia e Judit. Foto da www.juditpolgar.com


Scacco al re Kasparov

L’edizione 1986 del New York Open e le Olimpiadi di Salonicco del 1988 furono per Judit Polgár solo i primi gradini di una carriera ai vertici destinata a infrangere molti record. Nel gennaio del 1989, quando aveva dodici anni, la ragazzina di Budapest era già la 55° scacchista – uomini compresi – nella graduatoria mondiale stilata dalla Federazione internazionale degli scacchi (Fide). L’anno seguente il celebre asso russo Garry Kasparov, che aveva seguito con interesse gli incontri del prodigio ungherese a Salonicco, interpellato da Sports Illustrated, diede un giudizio assieme lusinghiero e sprezzante su quel nuovo fenomeno mondiale degli scacchi. A suo dire, Judit possedeva: «Un talento scacchistico fantastico, ma dopotutto si tratta di una donna. E in quanto tale è soggetta alle imperfezioni della psiche femminile. Nessuna donna può sostenere una lunga battaglia». Anni più tardi, Kasparov fu costretto a correggere il tiro, dichiarando che: «Basandomi sugli incontri di Judit Polgár, posso dire che se la frase ’giocare come una ragazza’ nel mondo degli scacchi avesse un significato, sarebbe quello di ’implacabile aggressione’». 

Questo stile di gioco riconoscibile era pensato per vincere gli incontri giocando all’attacco, mirando sin dalla prima mossa al re nemico, senza dare tregua all’avversario. Una tattica offensiva pronta a sacrificare pezzi importanti, dando spesso l’impressione che Judit si trovasse in situazioni di svantaggio ma il cui unico obiettivo era completare il proprio attacco e costringere lo sfidante a sbagliare o alla resa. Grazie alle sue implacabili aggressioni, nel dicembre 1991, a quindici anni da poco compiuti, Judit si laureò campione nazionale ungherese, divenendo anche l’allora scacchista più precoce al mondo a ottenere il titolo di grande maestro internazionale, anticipando persino Bobby Fischer. In quel periodo Judit partecipava a tornei ed esibizioni con incontri in simultanea indossando sempre il medesimo maglione tricolore bianco, rosso e nero ’vincente’, lavorato ai ferri da sua madre e con una torre degli scacchi al centro. Accanto alla scacchiera e al cronometro, posava sul tavolino un altro portafortuna: una figurina di leone intagliata nel legno, portatale dal Kenya da un suo allenatore. Da Salonicco in poi, per molti anni a venire, giocò sedendo a gambe incrociate, una posizione che la aiutava a concentrarsi meglio.

Una delle numerose sfide fra Judit Polgár e Garry Kasparov. La scacchista ungherese prevalse nel 2002.

Una delle numerose sfide fra Judit Polgár e Garry Kasparov. La scacchista ungherese prevalse nel 2002.

Davanti a una scacchiera quella ragazza timida e silenziosa seduta all’indiana diveniva feroce e determinata, stordendo i suoi sfidanti. Uno dei grandi maestri che Judit sconfisse da bambina, il britannico David Norwood, la definì: «Un grazioso mostriciattolo dai capelli castani ramati, capace di schiacciarti». Mentre un giornalista d’Oltremanica, la descrisse come una presenza quasi demoniaca: «Le iridi dei suoi occhi sono tanto grigie, tanto scure, da essere pressoché indistinguibili dalle pupille. Abbinate ai suoi lunghi capelli rossi, l’effetto è impressionante». 

Per chi ha visto la serie ’La regina degli scacchi’, la somiglianza con la fulva chioma sinuosa dell’attrice protagonista Anya Taylor-Joy pare tutt’altro che una coincidenza; specie considerando che nell’omonimo romanzo di Walter Tevis la giovane scacchista Beth Harmon non le assomiglia affatto. Proprio a proposito della fortunata serie Netflix, Judit riconosce come ricostruisca bene il linguaggio corporeo dei giocatori e ammette di «avere provato alcune sensazioni di déjà-vu, guardandola». Tuttavia, precisa anche che «nella vita reale è assai più difficile per una donna emergere in quell’ambiente», ricordando come molti uomini da lei sconfitti si rifiutassero di stringerle la mano o sostenessero di avere giocato male per giustificare l’onta, per loro inconcepibile, di avere perso da un’avversaria. 



Lo scettro vacante della regina

Nel corso di una carriera durata un quarto di secolo, Judit Polgár ha vinto otto tornei internazionali e raggiunto l’ottava posizione nella graduatoria mondiale nel 2005, partecipando inoltre ai campionati del mondo maschili, due traguardi mai eguagliati da nessun'altra donna. Resta inoltre l’unica scacchista ad avere sconfitto, seppur in un Rapid Game, un numero uno mondiale in carica (proprio Garry Kasparov a Mosca, nel 2002) all’interno di un palmares che annovera vittorie su molti grandi di questo sport quali l’attuale campione mondiale in carica, Magnus Carlsen, Anatoli Karpov e Boris Spassky. A differenza di Zsuzsa, Judit non ha mai voluto competere per il il titolo di campionessa mondiale femminile, pur essendo stata la donna con il miglior piazzamento Fide dal 1989 al 2014. La sua volontà di sfidare solo gli scacchisti più forti, sempre uomini, ha contribuito a infrangere tanti stereotipi di genere in una disciplina quasi unicamente maschile.   

Ritiratasi dall’attività agonistica nell’agosto 2014, oggi Judit è sposata con un connazionale e madre di due figli. Allena la nazionale maschile ungherese di scacchi ed è divenuta un’ambasciatrice nel mondo del gioco che l’ha resa famosa, riuscendo a farlo inserire nel programma obbligatorio delle scuole elementari magiare. È l’unica della sua famiglia ad essere rimasta in Ungheria, dato che sia le sorelle che i genitori si sono trasferite fra Israele e gli Stati Uniti. Oltreoceano, Zsuzsa si è reinventata autrice e motivatrice, trasmettendo la propria passione per gli scacchi al figlio Tom, che non è riuscito a replicare i successi materni, mentre sia i figli di Judit che quelli di Zsófia hanno scelto di percorrere altre strade. 

Sono passati sette anni dal ritiro di Judit Polgár e all’orizzonte si fatica a intravedere una scacchista che possa un giorno ereditarne lo scettro. Oggi la prima e unica donna nelle prime cento posizioni del ranking della Fide è la cinese Yifan Hou, all’84° posto. Difficile per lei ricalcare le orme di Judit o almeno delle sue prodigiose sorelle, per intaccare un predominio scacchistico tornato tristemente maschile. Una speranza potrebbe arrivare dalla quindicenne ungherese Kata Karácsonyi (nessuna parentela con il sindaco di Budapest, Gergely), attuale campionessa mondiale under 14. «Siccome io ci riuscii, credo che anche altre donne possano farcela», assicura Judit. Aspettando l’implacabile attacco di una nuova regina.


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