Tutte le guerre di Žižka / 1
di Salvatore Greco
Pur nella sua eccentricità, Praga è una città dal panorama consueto. Nel suo centro storico c’è un’anima sempre riconoscibile, sempre praghese, che riguardi la pietra gotica dei monumenti medievali, lo stile liberty dei palazzi più moderni o la specificità intrinseca delle sinagoghe e del cimitero ebraico. In tutti gli elementi che l’hanno composta nei secoli, Praga tende una linea di serietà senza solennità e di dignità senza alterigia. Tranne che in un punto. Poco lontano dal centro della capitale ceca c’è la collina di Vitkov, un rilievo piuttosto ripido che si risale un po’ a fatica. In cima, si erge una statua equestre enorme, in pietra bianca, solenne. Il nome alla base è quello di un uomo che una biografia anglofona non esita a chiamare “the warrior of God”. Cosa ci fa nella capricciosa Praga, capitale del Paese con più agnostici e atei dichiarati d’Europa, la statua a cavallo di un guerriero di Dio? Sembra una contraddizione incolmabile, eppure è alle radici dell’identità boema di oggi. Quel personaggio a cavallo, condottiero in una guerra di religione, è uno dei simboli più importanti della storia nazionale ceca, del suo tempo come di oggi: Jan Žižka.
Tutte le guide di Praga riportano le date del 1360 e del 1424 come anno di nascita e morte di Jan Žižka, con la ragionevole certezza della seconda e una relativa perplessità sulla prima. È a cavallo tra i due secoli, il XIV e il XVI, che dunque il destino di Jan Žižka si compie, in un pezzo d’Europa attraversato da grossi cambiamenti. Alla fine del ‘300, il regno di Boemia, composto dalla Boemia e dalla Moravia, e dunque territorialmente simile all’attuale sagoma della Repubblica Ceca, è un’istituzione solida e riconosciuta nell’Europa centrale. Per cinque secoli vi ha regnato la dinastia autoctona dei Přemyslidi, con alterne fortune, scontri, ma in una posizione che ha permesso allo stato dei cechi di fiorire e crescere al punto di interessare i vicini. L’ultimo dei Přemyslidi, re Venceslao III, muore nel 1306 senza eredi, e sul suo trono sale un regnante straniero, il quattordicenne Giovanni I di Lussemburgo, sposato per l’occasione alla sorella minore di Venceslao.
L’arrivo di Giovanni a Praga sancisce una prima, enorme, svolta nelle sorti del regno di Boemia. È un principe tedesco, ed è un elettore del Sacro Romano Impero, cosa che rende implicitamente i boemi legati alle sorti imperiali. Un segno di prestigio, da un lato, ma significa per i nobili locali una sensibile riduzione delle proprie libertà e delle proprie influenze politiche. La cosa si accentua ulteriormente quando sul trono, nel 1346, arriva il figlio di Giovanni, Carlo, politico più capace, tanto da arrivare al trono imperiale restandoci fino al 1378, e che fa di Praga – dove è nato – la sua capitale. Il Carlo di cui molti monumenti praghesi ancora oggi portano il nome, va da sé, è proprio lui.
Al momento della sua nascita Jan Žižka da Trocnov è dunque un suddito di Carlo. Viene da una nobile famiglia di piccoli proprietari terrieri del sud della Moravia che però, per quando Jan diventa adulto, mantengono il titolo, ma non la terra. Il primo atto pubblico che riporta il nome di Jan Žižka è proprio riferita all’ultimo pezzo di terra ceduto a terzi. Il giovane rampollo dovrà cercare le proprie fortune altrove. Nel 1392, un nuovo documento porta il nome di Jan Žižka annunciando la sua nomina a venator domini regis, cacciatore nei domini del re. Il sovrano in questione non è già più Carlo, morto quattordici anni prima, ma suo figlio Venceslao, passato alla storia con i poco ambiti epiteti di “pigro” e “beone”. Venceslao è un politico ben più debole di suo padre; ottiene il trono imperiale per volere di Carlo anche se non verrà mai incoronato per attriti con il Papa, e avrà numerosi problemi con la nobiltà ceca e il ramo cadetto dei Lussemburgo, guidato da suo cugino Sigismondo re d’Ungheria. Sebbene non goda di stima da parte dei nobili della corte di Praga, Venceslao si conquista quella di Žižka e altrettanta ne corrisponde al suo cacciatore. Quando, negli anni successivi, si arriverà alla vera e propria guerra civile in Boemia, Venceslao saprà di poter contare su Žižka come su uno dei suoi uomini più fidati.
“Guerra civile” è un’espressione che pecca di modernità, ma è utile a inquadrare quello che succede durante la prima metà del regno di Venceslao in Boemia, dove i complotti del cugino e la naturale antipatia dei circoli nobiliari praghesi, ancora ostili alla dinastia dei Lussemburgo, porteranno a un’insurrezione di palazzo e poi alla guerra in campo aperto tra gruppi di mercenari al soldo di tale o tal altro partito nobiliare. Anche Venceslao ha i suoi uomini armati, cosa per la quale non lo si può biasimare, e Žižka ne entra a far parte. Per lui, che per anni è andato a cavallo e ha usato le armi solo contro orsi e cinghiali, la guerra è un rischio e un’assoluta novità, ma la fortuna gli arride e il talento non gli manca. Tra il 1389 e il 1405, Žižka dà battaglia ai cavalieri di ventura al soldo dei nemici del re, e si distingue al punto da farsi un nome di tutto rispetto nel mondo dei mercenari di carriera. Gli sarà utile.
Intorno al 1406, le cose in Boemia prendono una piega più tranquilla. La guerra interna ha logorato le energie e svuotato i forzieri di molti duchi e baroni boemi. Inoltre, il cugino ribelle Sigismondo d’Ungheria è impegnato a difendere il regno magiaro dalle incursioni ottomane che arrivano da sud-est. Venceslao può tirare un respiro di sollievo e tende la mano ai suoi avversari. È probabile che in questo frangente sia il re in persona a suggerire a Žižka di cambiare aria per un po’ mentre si calmano le acque politiche. L’ex cacciatore di Venceslao non gode delle simpatie dei nobili a cui ha fatto la guerra per quasi vent’anni e con cui ora il re tenta di ricucire il compromesso. Un’occasione per stare lontano da Praga arriva a Žižka dalla Polonia.
All’epoca dei fatti, nei territori della Prussia orientale che oggi costituiscono l’exclave russa dell’Oblast’ di Kaliningrad, regnano da tempo i cavalieri teutonici. Quest’ordine di frati guerrieri, pensionati dopo le crociate, ha fatto della cristianizzazione dei popoli pagani del Baltico la propria missione. Una missione condotta con violenza, che ha avuto come effetto il genocidio del popolo baltico dei Pruteni renitenti alla conversione, e che ha portato velocemente allo scontro con il crescente regno di Polonia. A lungo in una posizione diplomatica e militare svantaggiosa, i polacchi hanno trovato la soluzione nell’unione dinastica con il Granducato di Lituania. Nel 1387, il Granduca di Lituania Jogaila ha sposato Jadwiga regina di Polonia e si è convertito al cristianesimo a nome proprio e di tutto il suo popolo. I due Stati insieme hanno le forze per combattere i teutonici in campo aperto, ma l’unione ha anche un importante valore diplomatico: con la cristianizzazione della Lituania, la presenza di una missione crociata in terra baltica non ha più senso e i cavalieri teutonici perdono l’appoggio di Roma. L’esercito polacco-lituano si prepara a sferrare l’offensiva contro i castelli teutonici e lo fa accompagnato da battaglioni che arrivano da vari regni vicini.
Nel 1410 si arriva allo scontro finale, nella piana che i teutonici chiamano Tannenberg e i polacchi Grunwald, agli ordini di Ladislao II Jagellone, re di Polonia e Granduca di Lituania, ci sono intere divisioni di mercenari boemi. Una di queste annovera tra i suoi ufficiali il nostro Jan Žižka. Il fatto che oggi in Polonia non ci sia una città piccola o grande senza una via o una piazza intitolata a Grunwald svela, a chi non lo sapesse già, il finale della battaglia. In quella pianura fangosa si consuma la fine dell’esperienza dei cavalieri teutonici e l’inizio dell’alleanza dinastica tra Polonia e Lituania che caratterizzerà l’età moderna fino a fine Settecento. Žižka è lì, combatte, probabilmente in quell’occasione perde un occhio assumendo l’aspetto che lo caratterizza in tutta la sua iconografia, si fa notare in battaglia come valoroso guerriero e abile ufficiale.