Un uomo contro, Witold Pilecki
di Fabio Turco
È la notte tra il 26 e il 27 aprile 1943. Nel campo di sterminio di Auschwitz i prigionieri 4859, 5430 e 12969, riescono a scardinare la porta del panificio e a richiuderla dall’esterno senza farsi scoprire. Nel momento in cui mettono piede fuori dal campo, riacquistano la loro identità: i loro nomi sono Witold Pilecki, Jan Redze ed Edward Ciesielski. Hanno preparato il piano di fuga per settimane, procurandosi documenti falsi e abiti civili, segnando il percorso da fare in modo da evitare di essere catturati dalle guardie e dai cani. Hanno portato con sé delle capsule di cianuro da ingerire nel caso cadessero in mano al nemico. E infatti alcune sentinelle li scorgono ed esplodono dei colpi, ma loro corrono veloci e in breve tempo sono fuori dalla loro portata. Il percorso della fuga prevede che i tre seguano l’argine della ferrovia che corre lungo le rive del fiume Soła, fino ad arrivare sulla Vistola. Lì troveranno una piccola barca ormeggiata, e risaliranno per un pezzo il corso del fiume, per poi scendere a terra e intraprendere una lunga marcia verso Wieliczka, centro abitato a pochi chilometri da Cracovia, dove si separeranno. Nella storia di Auschwitz, su 800 tentativi di fuga, solo 144 andarono a buon fine. Quello appena raccontato è uno di questi. La sua particolarità è però un’altra: è l’unica evasione da Auschwitz effettuata da un uomo che vi era volontariamente entrato. Questa è la storia di Witold Pilecki.
LE ORIGINI - Pilecki nacque a Olonec, nella Repubblica di Carelia, nell’allora Impero russo, il 13 maggio 1901. La sua era una famiglia di nobili origini, il cui destino sembra essere quello di scontrarsi con le autorità. Il nonno aveva partecipato alla rivolta del gennaio del 1864 contro i soldati zaristi, e per punizione era stato mandato per sette anni in Siberia, oltre a perdere tutte le proprietà. Il padre Julian era invece una guardia forestale, costretto a trasferirsi in Carelia da San Pietroburgo, per poter lavorare. Nel 1910 i Pilecki decisero di trasferirsi a Vilnius, e lì il giovane Witold iniziò a frequentare gli scout - allora vietati dalle autorità russe - dove iniziò ad apprendere i primi rudimenti di combattimento e di tecniche cospirative. L’esperienza si rivelò utile quando a 17 anni, nel pieno della Prima guerra mondiale, si arruolò nell’unità di autodifesa polacca guidata dal generale Władysław Wejtka. Di lì a poco ottenne il suo primo successo sul campo, riuscendo a scacciare i tedeschi dalla stazione dei treni di Vilnius. La città venne liberata, ma dopo poco tempo fu attaccata dai bolscevichi durante le operazioni della guerra polacco bolscevica. Arruolatosi nel reggimento degli Ulani partecipò il 5 agosto 1920 alla decisiva battaglia di Varsavia, detta anche il miracolo della Vistola, che scongiurò il pericolo di un’occupazione sovietica.
Terminato il conflitto, Pilecki conseguì la maturità e si iscrisse alle facoltà di Belle Arti e di Agraria. Era soprattutto quest’ultima materia a interessarlo. La sua intenzione era quella di diventare un fattore e di gestire i terreni ereditati dalla famiglia. Nel 1926 si spostò a Sukurcze (nell’attuale Bielorussia), dove avviò una cooperativa agricola e fondò un nucleo di vigili del fuoco nella vicina città di Krupa. In questo periodo conobbe la maestra Maria Ostrowska, con cui sarebbe convolato a nozze nel 1931 e avrebbe avuto due figli, Zofia e Andrzej. Fu il periodo più felice della vita di Pilecki, durante il quale però non abbandonò la carriera militare diventando tenente di riserva del 26° Reggimento degli Ulani di Baranowicze. Questa parentesi di pace nella sua vita era destinata purtroppo a finire con l’invasione nazista del 1939 e lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il primo settembre 1939.
LA GUERRA - L’inizio della guerra travolse la Polonia, ma Pilecki non si fece trovare impreparato. Si arruolò subito nel 19° battaglione di fanteria e andò a combattere contro i tedeschi vicino a Wolborz. La pressione del nemico era troppo forte e insieme ad altri commilitoni fu costretto ad attraversare la Vistola. Si unì quindi alla 41° divisione di fanteria dove venne nominato vice del maggiore Jan Włodarkiewicz. Proprio questo incontro si rivelò decisivo per lo sviluppo degli eventi successivi. Furono loro due, insieme ad altri ufficiali, a fondare il movimento di resistenza clandestina della Tajna Armia Polska (Tap), il 9 novembre 1939. Le sue funzioni erano molteplici: osservare le vie di collegamento; raccogliere informazioni sulla produzione industriale del nemico e sui metodi repressivi da questi utilizzati; monitorare l’umore della società polacca e identificare i collaborazionisti. I compiti del controspionaggio si focalizzavano sulla supervisione dei punti di contatto, sull’identificazione di luoghi sicuri per scambiare informazioni e il controllo delle altre organizzazioni clandestine. Inoltre, grazie alla collaborazione della municipalità di Varsavia, dell’Istituto per la previdenza sociale e dell’Ufficio anagrafico, riuscirono a produrre carte d’identità false, certificati di lavoro, e altri documenti necessari per svolgere la propria attività. Al comando della Tap c’era Jan “Darwicz” Włodarkiewicz, mentre Pilecki dapprima ricoprì il ruolo di ispettore organizzativo e successivamente di capo ispettore, dedicandosi a compiti di organizzazione e mobilitazione, ai servizi speciali e agli armamenti. Nell’agosto del 1940 la Gestapo assestò un duro colpo alla Tap arrestandone diversi membri di spicco: Władysław Surmacki, Tadeusy Chroscicki e il capo del servizio sanitario Władysław Derin. Vennero tutti deportati nel campo di concentramento di Auschwitz, aperto qualche mese prima. Il campo entrò dunque nel radar dell’organizzazione, e venne stabilito che qualcuno avrebbe dovuto farsi arrestare, entrare nel campo e liberare i compagni imprigionati. È opinione diffusa che sia stato lo stesso Pilecki a ideare il piano e a proporsi per farsi imprigionare, tuttavia lo storico Adam Cyra, autore della biografia “Volontario ad Auschwitz”, sostiene che la scelta di mandare Pilecki ad Auschwitz fu presa dai vertici dell’organizzazione per allontanarlo da Varsavia, in quanto era diventato un personaggio scomodo. La Tap era infatti in procinto di confluire insieme ad oltre organizzazioni minori in un nuovo gruppo, la Związek Walki Zbrojnej (Zwk, Unione per la lotta armata). Questa unione era stata caldeggiata proprio da Pilecki. Secondo Cyra, Pilecki accettò l’incarico solo quando ricevette l’ordine dal comandante Stefan “Grot” Rowecki.
AUSCHWITZ - Il 19 settembre 1940, sotto la falsa identità di Tomasz Serafiński, si fece dunque trovare in un appartamento del quartiere varsaviano di Zoliborż, dopo aver ricevuto la soffiata che quel giorno la Gestapo avrebbe effettuato una retata. Nella notte tra il 21 e il 22 settembre arrivò ad Auschwitz, dove venne registrato come prigioniero 4859. Dopo qualche giorno cominciò ad allacciare i contatti con altri prigionieri del campo, Stanisław Dubois, Xawery Dunikowski. e Bronisław Czech. Insieme a loro creò la prima rete di resistenza clandestina di Auschwitz, che venne chiamata Zow (Związek Organizacji Wojskowej). L’obiettivo della Zow era quello di supportare gli altri detenuti, scambiare messaggi dentro e fuori dal campo, ottenere e distribuire cibo e vestiti, prepararsi a prendere il controllo del campo a seguito di un attacco dall’esterno. L’idea di Pilecki era che prima o poi la resistenza polacca o le forze alleate sarebbero arrivate all’esterno del campo. Per fare ciò, iniziò a far uscire dal campo tramite dei collaboratori, dei rapporti su quanto stava accadendo all’interno. I primi documenti vennero trasmessi nell’ottobre del 1940, raggiungevano il quartier generale della Związek Walki Zbrojnej a Varsavia, tramite la cellula “Anna” venivano trasferiti nella neutrale Svezia e da qui al governo polacco in esilio a Londra. La struttura della Zow era a compartimenti stagni e si basava su piccoli gruppi di cinque persone che non si conoscevano tra loro, in modo da ridurre al minimo il rischio di delazioni e di arresti di massa. Questo sistema fu mantenuto fino al 1942, quando l’organizzazione si strutturò in veri e propri battaglioni, in previsione di uno scontro contro le SS. Pilecki rimase ad Auschwitz quasi mille giorni, fino a quando la Gestapo cominciò ad arrestare delle persone individuate come cospiratori. Era giunto il tempo della fuga, pianificata e condotta nelle modalità raccontate all’inizio.
FUORI DALL’INFERNO - Una volta tornato a Varsavia trasmise a Londra due dettagliati rapporti su tutto quello che aveva visto e vissuto: i cosiddetti Raport W e Raport Teren S. Il primo raccontava i fatti a cui aveva assistito, dei lavori forzati, del vitto insufficiente, delle sadiche punizioni e della persecuzione agli ebrei. Il secondo, ancora più confidenziale, illustrava la struttura della Zow e faceva riferimento alle persone coinvolte. Al fine di mantenere un elevato grado di riservatezza, Pilecki decise di scrivere i due fascicoli in codice. Vennero completamente decriptati solo all’inizio degli anni 2000. L’intenzione di Pilecki, al momento della stesura dei rapporti era quella di sensibilizzare il governo in esilio e gli alleati al fine di liberare il campo. Le sue richieste però rimasero inascoltate, in quanto si poneva il problema di come redistribuire i prigionieri liberati. Tuttavia il suo lavoro e il suo coraggio gli valsero la promozione a capitano di cavalleria, concessagli dal generale Tadeusz Bór – Komorowski.
LA FINE DELLA GUERRA - Intanto la guerra stava volgendo verse le battute finali, i tedeschi erano in difficoltà, e l’avvicinamento delle truppe sovietiche convinse l’Armia Krajowa (Ak), l’esercito nazionale in cui anche la Zwk era confluita, a organizzare una nuova struttura clandestina che si preparasse a fronteggiare il probabile nuovo occupante. Fu così che Pilecki fu coinvolto nella nascita della “Nie” abbreviazione di 'niepodłegłość', che in polacco significa indipendenza. Le crescenti difficoltà dei tedeschi indussero l’Ak ad accelerare i tempi per la liberazione di Varsavia, in modo da anticipare i sovietici, ormai appostati dall’altra parte della Vistola. Fu così che il primo agosto del ’44 ebbe inizio l’insurrezione della capitale polacca. Essendo coinvolto nell’organizzazione della “Nie” a Pilecki fu vietato di partecipare ai combattimenti, ma lui decise di disobbedire, unendosi come soldato semplice al gruppo Chrobry II. Successivamente divenne vice e poi comandante della prima compagnia del secondo battaglione, impegnato nel quartiere di Wola. L’area da lui difesa fu ribattezzata “la ridotta di Witold”, a indicare una delle aree più strenuamente difese. Dopo due mesi di combattimenti la rivolta venne soffocata nel sangue, lasciando la città in un cumulo di macerie. Il 5 ottobre 1944 fu portato al campo di Ożarów, da cui fu poi tradotto ai campi di prigionia di Lamsdorf e di Murnau. La fine del conflitto era però imminente e Il 28 aprile 1945 il campo fu liberato dall’esercito americano. Da lì Pilecki si recò in Italia dove raggiunse il II corpo d’armata polacco guidato dal generale Władysław Anders. Si stabilì per qualche mese a Porto San Giorgio, nelle Marche, dove preparò una nuova relazione che andò a integrare i precedenti Raport W e Raport Teren S.
UN NUOVO NEMICO - La guerra con i tedeschi era ormai finita, ma in Polonia la situazione era tutt’altro che calma. Il Paese era entrato sotto la sfera di influenza dell’Unione Sovietica, che da subito cercò di estirpare ogni rete di resistenza. L’Armia Krajowa era stata sciolta a gennaio, e la sua eredità raccolta proprio dalla “Nie”, che nel maggio del ’45 si trasformò a sua volta nella Delegatura Sił Zbrojnich na Kraj (Delegazione delle forze armate per la Patria). Chi veniva identificato, o anche solo sospettato di essere parte della lotta clandestina, veniva arrestato dal Nkvd, la polizia segreta sovietica, con la prospettiva di essere deportato in Siberia. In un clima di tale difficoltà il generale Anders chiese a Pilecki, dopo averlo nominato ufficiale, di tornare in Polonia per riorganizzare le fila della resistenza. Pilecki accettò l’incarico e tornò in Polonia sotto la falsa identità di Roman Jezierski. Qui, riprese i contatti con i vecchi militanti del Tap ancora in libertà e con altri collaboratori conosciuti ad Auschwitz. Ottenne informazioni sulla struttura e sull’attività del Nkvd e dell’Ub (i servizi segreti polacchi dell’epoca); raccolse le prove che in vista delle elezioni delle 1947 le autorità avrebbero falsificato il voto; monitorò i rapporti tra la futura Repubblica popolare polacca e l’Unione sovietica; testimoniò il clima di crescente terrore nella popolazione. Tutte queste informazioni furono raccolte e inviate al II corpo in Italia. Intanto la sua copertura di venditore di profumi era sempre più a rischio. Nel giugno del ’46 gli fu ordinato di lasciare il Paese, ma lui rifiutò, non volendo abbandonare la famiglia - in quel periodo riusciva a incontrare la moglie due volte al mese - e non avendo trovato una persona che lo sostituisse adeguatamente. Il ministero della Pubblica sicurezza, pur avendolo identificato, decise di non procedere immediatamente con il suo arresto, ma infiltrò un suo agente, con l’intenzione di far distruggere l’organizzazione dall’interno.
Questo tentativo però fallì, e fu così che l’8 maggio 1947 Pilecki venne arrestato insieme ad altre 22 persone. Secondo le testimonianze di altri carcerati, la prigionia fu lunga e brutale. A nulla valsero gli appelli dei sopravvissuti ad Auschwitz, affinché venisse preso in considerazione quello che era riuscito a fare nel campo di sterminio. Il processo iniziato il 3 marzo 1948 durò meno di due settimane. Non vennero ammesse testimonianze a favore di Pilecki, né a questi fu permesso di difendersi. Il 15 marzo venne condannato a morte assieme a Maria Szelągowska e Tadeusz Płużański. Il presidente della Repubblica Bolesław Bierut si rifiutò di concedere la grazia e l’esecuzione ebbe luogo la sera del 25 maggio, con un colpo di pistola alla nuca. Il suo corpo venne sepolto in un luogo sconosciuto.
I SOLDATI MALEDETTI - L’esperienza della resistenza clandestina non si concluse con la morte di Pilecki. Varie formazioni continuarono a operare fino agli anni ’50. Si tratta perlopiù di reduci dell’Ak che fino all’ultimo rifiutarono di consegnarsi. Sono i cosiddetti “soldati maledetti”. Si ritiene che l’ultimo di loro sia stato Józef Franczak, ucciso in un’imboscata nel 1963. Si stima che tra il 1945 e il 1956 siano stati effettuati circa 300mila arresti, siano state emesse seimila condanne a morte e 20mila persone siano morte in carcere. L’opinione storica sui soldati maledetti non è condivisa. La narrazione portata avanti dall’attuale governo tende a inquadrarli come i primi veri oppositori del regime comunista. Va però anche ricordato che tra le loro fila si mescolavano banditi e assassini, macchiatisi di crimini terribili prima e durante la guerra, come la distruzione di interi villaggi e l’attacco indiscriminato ai civili.
OGGI - Recentemente la figura di Pilecki è tornata alla ribalta per un altro motivo. Il 19 settembre 2019 il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che istituisce una giornata di tributo alle vittime di tutti i totalitarismi. La decisione ha suscitato un certo scalpore e molte polemiche poiché ufficialmente, e per la prima volta, le responsabilità del nazismo e del comunismo sono state messe sullo stesso piano. Nel testo della risoluzione viene infatti sottolineato come il patto Ribbentrop - Molotov sia stato determinante per lo scoppio della Seconda guerra mondiale e si pone l’accento sulla necessità di rendere il giusto omaggio alle vittime della dittatura sovietica, così come per coloro che hanno sofferto per i crimini della Germania nazista. Per celebrare questa giornata si è scelto il 25 maggio, giorno in cui Pilecki scontò la pena capitale per mano delle autorità della Polonia comunista.