Speciale parlamentari polacche 2023
A cura della redazione di Centrum Report
Cari lettori e care lettrici,
si avvicinano le elezioni che rinnoveranno il parlamento polacco e che potrebbero cambiare, in una direzione o nell’altra, la storia e l’immagine recente del Paese.
Rispetto alle elezioni slovacche del 30 settembre, sui media italiani se ne parla di più, in modo inevitabile. La Polonia è il quinto Paese più popolato dell’Ue e la posizione di Varsavia rispetto ai temi internazionali è sempre un tema importante.
La domanda su chi guiderà il governo polacco per i prossimi anni è una cosa che ci riguarda non solo come spettatori e appassionati di Europa Centrale, ma anche come cittadini europei.
Per questo motivo, abbiamo deciso di dedicare uno speciale dettagliato per leggere al meglio le elezioni del 15 ottobre e anche per immaginare che Polonia ci ritroveremo dal giorno successivo alla proclamazione dei risultati. Buona lettura!
A che punto siamo
Il 15 ottobre la Polonia si troverà per l’ennesima volta a fare i conti con se stessa. Da decenni risulta divisa tra la sua anima conservatrice e sovranista, rappresentata da Diritto e Giustizia (PiS), al governo da otto anni, e quella liberale ed europeista guidata da Coalizione Civica (Ko), il partito di Donald Tusk.
Per capire a che punto siamo, partiamo da una considerazione: nonostante l’ampio mandato conquistato alle elezioni del 2019, con quasi il 44% delle preferenze, quello di PiS non è stato un governo solido. Nel corso degli anni ci sono stati diversi problemi con gli alleati minori. In alcune fasi della legislatura la maggioranza è stata in bilico ed è dovuta ricorrere all’appoggio esterno dei gruppi di destra di Kukiz ‘15 o di Confederazione.
Uno dei temi più rilevanti della legislatura uscente è stato lo scontro con la Commissione europea relativamente al rispetto dello stato di diritto. Il nodo rimane sempre la riforma della giustizia attuata da PiS durante il suo primo mandato di governo, ritenuta non in linea con i trattati comunitari. Il muro contro muro venutosi a creare ha portato al congelamento dei fondi del Recovery Fund e al blocco di quelli dei fondi di coesione.
Tali questioni, che a un certo punto avevano isolato il Paese all’interno dell’Ue, sono state parzialmente oscurate dall’invasione russa dell’Ucraina. La Polonia si è ritrovata a svolgere un ruolo di primo piano, inizialmente dal punto di vista dei soccorsi umanitari e poi da quello degli aiuti militari. In poco tempo Varsavia è diventata il principale di alleato di Kiev nella regione. Le ottime relazioni si sono però guastate negli ultimi mesi, in particolare a causa della questione del grano ucraino, del quale il governo polacco ha bloccato le importazioni per proteggere il mercato degli agricoltori locali.
Guardando al fronte interno uno dei fatti più rilevanti di questi anni è stata una sentenza del Tribunale Costituzionale, che ha ristretto in maniera quasi totale la possibilità di accedere all’interruzione di gravidanza. Il provvedimento ha avuto un impatto politico notevole. In quei mesi i sondaggi hanno registrato un calo dell’indice di gradimento per il governo di circa il 10%, mai più recuperato.
Tra i successi dell’esecutivo vi sono alcune misure economiche, come l’introduzione della tredicesima e della quattordicesima per i pensionati, l’innalzamento progressivo del salario minimo e il mantenimento dell’assegno di 500 złoty mensili (circa 108 euro) per ogni figlio di coppie sposate, destinati a diventare 800 złoty l’anno prossimo. Uno dei grandi problemi è stato invece rappresentato dall’inflazione, che per oltre un anno e mezzo è rimasta sopra la doppia cifra. Una riforma della politica fiscale, che ha innalzato considerevolmente l’aliquota di esenzione dalla imposte, ha invece attirato diverse critiche per il modo in cui la modifica delle normative è stata comunicata e applicata.
Grandi novità si sono verificate anche nel campo dell’opposizione. Nell’estate del 2021 Donald Tusk è tornato a prendere in mano le redini di Piattaforma Civica. Il partito, in grande difficoltà a partire dalla batosta elettorale del 2015, ha cominciato con lui una lenta risalita. Pur non essendo in grado di impensierire PiS, è l’indiscusso capofila delle opposizioni. Questo ha provocato il revival dello scontro a distanza tra i due grandi vecchi della politica polacca, Tusk da una parte e Jarosław Kaczyński dall’altra.
I protagonisti
Non ci sono solo loro due però. Gli elettori polacchi potranno scegliere fra cinque schieramenti. Solo uno di essi rappresenta una novità rispetto al voto del 2019. Le altre quattro formazioni in lizza sono rimaste le stesse, pur con alcuni cambiamenti di leadership e di alleanze al loro interno. Parliamone.
Ancora una volta sulle schede elettorali ci sarà l’aquila incoronata stilizzata del simbolo di Diritto e Giustizia (PiS). Come anticipato, da otto anni PiS è la formazione politica più votata dai polacchi, e oggi punta a vincere le parlamentari per la terza volta consecutiva e lo fa mantenendo ben salda la propria barra di navigazione dettata dalla sua eminenza grigia, Jarosław Kaczyński.
Da tempo il settantaquattrenne Kaczyński si è ritagliato un ruolo lontano dalla luce dei riflettori, dettando la linea del partito dalla quiete della sua residenza alla periferia di Varsavia. Apparentemente, l’immarcescibile leader ricopre solo l’incarico di vicepremier, ma la sua influenza sull’esecutivo è assai più profonda. Di fatto, sotto la leadership ombra di Kaczyński, PiS ha conosciuto una stabilità nei consensi sorprendente. I sondaggi in vista del 15 ottobre non fanno eccezione.
Il motivo per cui Diritto e Giustizia gode di tale credito risiede in vari fattori. Da un lato, il continuo richiamo ai valori cattolici della famiglia tradizionale e patriottici di una Polonia forte bastano a convincere milioni di elettori. Dall’altro, i buoni risultati raggiunti dell’economia nazionale e la bassa disoccupazione sono risultati concreti da sbandierare. E poi vi sono le generose politiche di welfare varate, come accennato in precedenza.
Lati oscuri come i continui contrasti con l’Ue sullo stato di diritto, la cannibalizzazione del settore mediatico e della giustizia, l’inasprimento della legge sull’aborto e lo scandalo legato alla concessione di visti illegali a pagamento per stranieri increspano appena la popolarità del partito. Persino l’incapacità del governo di creare e coordinare un programma d’accoglienza per milioni di profughi ucraini transitati per la Polonia nei primi mesi dell’invasione russa è passata in cavalleria.
Insomma, nonostante tutto questo, oggi PiS dà la sensazione di dovere temere soprattutto se stesso per non consentire al premier Mateusz Morawiecki di governare ancora.
L’arduo compito di sconfiggere PiS alle urne spetta a Coalizione Civica (Ko). L’alleanza formata dall’ex partito di governo Piattaforma Civica e da altre cinque formazioni liberaldemocratiche si ripropone per la seconde parlamentari consecutive. A differenza del 2019, la guida l’ex premier ed ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Un personaggio carismatico, che PiS ha cercato in ogni modo di delegittimare mediaticamente e politicamente nei mesi di campagna elettorale. L’ultimo attacco, a giugno, è stato il varo della cosiddetta ‘Lex Tusk’, con la quale si accusa il leader di Ko di avere reso la Polonia fortemente dipendente dalle fonti energetiche russe mentre era al governo fra 2007 e 2015.
Nonostante gli inciampi di PiS, Coalizione Civica ha sempre dato la sensazione di essere incapace di approfittarne per guadagnare terreno. L’invasione russa dell’Ucraina, che ha permesso al governo di serrare i ranghi, riproponendo lo spettro del nemico alle porte, ha ostacolato Ko. In un simile contesto di crescenti tensioni internazionali, l’interesse del grande pubblico su diritti delle donne, indipendenza della giustizia, istruzione e pluralismo mediatico cavalcati dalle opposizioni si è affievolito. Dal 24 febbraio 2022 per molti polacchi la minaccia posta dall’espansionismo russo ha oscurato tutto il resto. PiS ha offerto loro una ricetta semplice: la continuità al potere di un governo cattolico e patriottico.
Questa volta Coalizione Civica ha puntato sullo slogan elettorale: ‘100 cose concrete per i primi 100 giorni al governo.’ Fra di esse, vi sono l’abolizione dell’attuale legislazione sull’aborto, l’aumento del 20% degli stipendi dei dipendenti pubblici, il raddoppio della soglia salariale per non pagare la tassa sul reddito e l’eliminazione dei sussidi statali alla Chiesa. Si è pensato anche agli insegnanti, che negli ultimi anni hanno spesso manifestato contro PiS, promettendo loro un aumento del 30% in busta paga. Sull’energia, l’accento viene posto sul rilancio dell’eolico e non sul nucleare, promosso dal governo. Infine, la politica estera che vede Ko non solo sostenere l’Ucraina e la Nato, ma anche voler riallacciare i rapporti con l’Ue, incrinatisi negli otto anni di PiS al potere.
Potrebbe non essere sufficiente a intaccare la supremazia di Diritto e Giustizia. Inoltre, il valore aggiunto che la presenza di Donald Tusk dovrebbe garantire alla principale coalizione d’opposizione rispetto alle ultime parlamentari è anche un’arma a doppio taglio, calamitando attacchi politici e mediatici. La grande partecipazione di piazza alla manifestazione ‘Un milione di cuori’ dell’1 ottobre a Varsavia, voluta da Ko e da Tusk, è incoraggiante, ma non deve illudere troppo.
Parafrasando Nanni Moretti, oggi dire qualcosa di sinistra in Polonia potrebbe essere controproducente. A trentaquattro anni dalla fine della Repubblica popolare di Polonia (Prl), il Paese non ha ancora superato il trauma del proprio periodo comunista. Per questo, dall’89 in poi, gli anni nei quali un partito post-socialista – Alleanza della sinistra democratica (Sld) – ha guidato la Polonia sono stati appena sei. L’ultima esperienza risale addirittura al 2005. Da allora Sld è divenuta un partito sempre più marginale, incapace di attrarre nuovi iscritti e abbandonato persino da molti sostenitori storici, attratti dal welfare populista promosso da PiS.
Oggi Sld non esiste più, ma è confluito nel 2021 all’interno di Nowa Lewica (Nuova sinistra), uno dei sei partiti che compongono la coalizione Lewica (Sinistra). La medesima alleanza elettorale era presente anche alle parlamentari 2019, quando raccolse il 12,4% delle preferenze, divenendo la terza forza alle urne, e quest’anno cercherà di eguagliare quel risultato. Migliorarlo pare impossibile, in uno scenario dominato dallo scontro fra PiS e Ko.
Cosa propone il programma in quattordici punti del centrosinistra polacco? Innanzitutto una rinegoziazione del concordato fra Stato e Chiesa, per interrompere quella che viene definita “una relazione tossica” e destinare a sanità e istruzione i fondi versati alle istituzioni cattoliche e all’insegnamento del catechismo nelle scuole pubbliche. A seguire, l’abolizione dell’obiezione di coscienza, che oggi consente ai medici di rifiutarsi di fornire contraccettivi o di praticare i già pochi aborti legali in Polonia. Per quanto riguarda le politiche occupazionali, Lewica promette di battersi per la riduzione della settimana lavorativa da 40 a 35 ore. Su politica estera ed energia, invece, la coalizione si distingue dalla sinistra occidentale, mostrandosi favorevole alla Nato e puntando sull’introduzione del nucleare per favorire la decarbonizzazione del Paese.
Il concetto di una ‘terza via’ alternativa a destra e sinistra avrebbe fatto sorridere Giorgio Gaber, ma resta d’attualità in Europa Centrale. In Slovacchia, Robert Fico ci ha costruito parte delle proprie fortune e in Polonia qualcuno vorrebbe fare altrettanto. Ecco perché il camaleontico Szymon Hołownia – già giornalista, presentatore televisivo e candidato alla presidenza – ha chiamato Trzecia Droga, ‘terza via’ appunto, la coalizione da lui guidata.
Terza Via (Td) è nata il 27 aprile scorso dall’unione di Polonia 2050, il movimento di Hołownia dal nome fantascientifico, e lo storico Partito popolare polacco (Psl), forte nelle aree rurali del Paese. Alle parlamentari del 2019, Psl era alla guida di una coalizione di centrodestra che non ottenne il riscontro sperato alle urne, fermandosi all’8,6% dei consensi, mentre Polonia 2050 non esisteva, poiché il suo futuro leader all’epoca ancora presentava un talent show in televisione. Difficile dire cosa aspettarsi da questa stramba unione elettorale – vicina a PiS sull’Ucraina e sull’incremento delle spese per la difesa, ma non sui tagli all’istruzione – eppure i sondaggi la immaginano piuttosto bene, come vedremo.
Immaginare che Td apra una terza via duratura per gli elettori delusi da PiS e Ko pare improbabile. Altrettanto poco plausibile ipotizzare che possa appoggiare dall’esterno un nuovo esecutivo a marchio PiS. Infine, resta improbabile, per quanto annunciato, uno scenario in cui Hołownia formi una ‘Grosse Koalition’ per governare assieme a Ko e Lewica. La somma delle preferenze delle tre formazioni potrebbe superare il 50%, ma le differenze da superare sarebbero troppe, nonostante il comune criticismo nei confronti di PiS. Su un tema divisivo come il diritto all’aborto, ad esempio, Td intende indire un referendum, anziché varare subito una legislazione più permissiva, come vogliono Ko e Lewica.
Chiude il lotto dei partecipanti Confederazione Libertà e Indipendenza, abbreviato in Confederazione (Konfederacja), il cui simbolo pare una versione sotto steroidi di quello di PiS, con la medesima aquila polacca incoronata, ma dal profilo affilato su sfondo nero a forma di Polonia. Già presente sulla scheda nel 2019, oggi come allora Confederazione intende intercettare il voto di protesta di decine di migliaia di uomini under 30, facendo leva su un programma riassumibile in due punti: meno immigrati e meno tasse.
Il partito si dichiara turbo-liberista e anti-sistema, ma nel recente passato ha spalleggiato l’attuale governo a marchio PiS. I due schieramenti, del resto, hanno varie cose in comune, a partire dall’insistenza sul sovranismo della Polonia, con conseguenti critiche all’Ue. Oggi li dividono soprattutto l’economia e l’Ucraina. PiS appoggia la causa di Kiev contro l’invasione russa, mentre un’ala maggioritaria di Confederazione critica il sostegno militare e politico ai vicini. Alcuni suoi esponenti hanno persino organizzato manifestazioni (per la verità poco partecipate) contro i profughi ucraini, accusandoli di sottrarre lavoro ai polacchi.
Terminata l’era del discutibile e fumettistico leader Janusz Korwin-Mikke, ora Confederazione è guidata dal quarantunenne Krzysztof Bosak e dal trentaseienne Sławomir Mentzen. Il primo è l’ex candidato alla presidenziali dell’estrema destra e oggi segretario dell’ultranazionalista Movimento Nazionale, mentre il secondo è leader di Nuova Speranza, un tempo partito ad-personam di Korwin-Mikke. Durante questa campagna elettorale entrambi hanno ribadito le loro posizioni nazionaliste, anticomuniste, antisemite, antiabortiste, omofobe e misogine. Del resto, il programma del partito auspica la creazione di una nazione polacca “etnicamente e culturalmente omogenea, costruita attorno a valori cattolici tradizionali”. Una frase che non stonerebbe in un comizio di PiS.
I possibili scenari
I sondaggi per queste elezioni hanno una forchetta di risultati piuttosto ampia, a seconda del committente. Ci affidiamo a quelli più recenti, pubblicati su commissione del portale Wp ed elaborati il 30 settembre e l’1 ottobre. La data è importante: le opinioni sono state registrate a ridosso della grande marcia dell’opposizione e la portata emotiva dell’evento potrebbe averle influenzate.
PiS è ancora il primo partito e nulla fa prevedere che possa perdere questa posizione. Non lo hanno scalfito le proteste di piazza, né la crisi dei migranti né infine l’invasione russa dell’Ucraina. Non lo farà in modo evidente questa tornata elettorale. Tuttavia, qualcosa comincia a scricchiolare. Morsi dall’inflazione, oggi gli elettori sicuri di votare per Diritto e Giustizia sono il 32,3%, un risultato che darebbe al partito Kaczyński 186 parlamentari, mandandolo al primo posto tra gli eletti ma inferiore al passato e insufficiente a governare senza alleati.
Non basterebbe nemmeno l’aiuto esterno di Confederazione. Sempre che le due sigle possano ritenersi alleabili, viste le differenze nei rispettivi programmi economici, comunque arriverebbero a 223 deputati su 460. Il caso di Confederazione è particolare. Il mix di posizioni ultraliberiste, reazionarie, misogine e talvolta antisemite e xenofobe fa ballare i suoi risultati, ma da tempo il suo peso elettorale sembra stabile intorno al 9% dei consensi.
La sigla egemone degli anti-PiS, Coalizione civica (Ko), è in grande spolvero dopo il ritorno alla politica attiva di Donald Tusk nell’estate del 2021. Da quel momento, i suoi consensi sono saliti con regolarità e oggi Ko può contare sul 26,4% dei voti, concentrati perlopiù nella classe media urbana.
Il compito di fare da ariete nelle aree rurali, dove Ko non attecchisce, spetta a Terza via (Td). Per mesi la sua composizione un po’ ambigua ha riscosso poco interesse, ma gli ultimi sondaggi la danno in grande crescita, pronta a raggiungere il terzo posto con il 12,1%.
Per ottenere la vittoria dell’opposizione, tuttavia, è necessario anche il contributo di Sinistra, che punta almeno all’8%. Sinistra conta su un elettorato perlopiù giovanile e femminile attratto dalla capacità - rarissima, specie in questa regione - di unire battaglie sociali e civili finalmente trasversali. Tuttavia le parole d’ordine socialdemocratiche respingono con orrore l’elettorato più maturo cresciuto a pane (di segale) e anticomunismo.
Che cosa cambierà?
A Varsavia si giocherà il secondo tempo di una partita iniziata il 30 settembre a Bratislava, nelle elezioni slovacche vinte da Robert Fico. La probabile conferma in Polonia di un governo cattolico, nazionalista ed euroscettico continuerebbe a minare ulteriormente l'unità europea mentre il conflitto in Ucraina non dà segni di una possibile soluzione.
Ai suoi turbolenti confini orientali l'Ue vedrebbe ancora una Polonia in perenne lotta con la Commissione e a cui spetterà nel primo semestre 2025 la presidenza di turno del Consiglio europeo, simbolicamente seguendo a ruota quella ungherese. A Bruxelles finirebbe un prezioso alleato di Orbán il quale, da parte sua, ha già accusato le élite europee di: «lavorare per la caduta del governo polacco il 15 ottobre, per lasciare l'Ungheria isolata e liquidarla facilmente».
Un ritrovato asse populista di Visegràd composto da Budapest, Bratislava e Varsavia, con la continuità geografica della Serbia di Vucić a sud, potrebbe ulteriormente estendersi se l'estrema destra vincesse il prossimo anno in Austria. Ma è meno saldo di quanto sembri. In Slovacchia, Fico è sempre stato un politico pragmatico che, nei fatti, non è mai andato contro la linea europeista, per non mettere a rischio l'accesso ai fondi comunitari.
E l'area è sempre attraversata da profonde divisioni sul tema del rapporto con Mosca. Ad esempio il 90% dei polacchi non ha simpatie verso la Russia (sondaggio Pew) contro il 39% degli ungheresi. Ma è sempre una situazione in divenire. Il voto polacco sarà cruciale per sancire gli equilibri europei verso l'Ucraina, confermando o meno le prime crepe di stanchezza per la guerra, già affiorata in Slovacchia.
L’ultradestra polacca, bisognerà vedere quanto rilevante, sta già sfoderando le ataviche diffidenze verso l'Ucraina, vista nel lungo periodo sempre più come rivale regionale e lo stesso PiS evoca fantasmi isolazionisti: «Vi avverto, la Germania vuole sempre collaborare con i russi a spese dei Paesi dell'Europa centrale», ha detto il premier uscente Morawiecki in uno dei suoi ultimi discorsi.