Il gelataio di Budapest
di Alessandro Grimaldi
Péter Mayer aveva 16 anni nell'inverno del 1944 quando le Croci Frecciate, le bande filonaziste ungheresi, occuparono il villaggio fuori città dove aveva cercato di nascondersi dalle deportazioni. Riuscì a fuggire e tornare a Budapest dove ritrovò i genitori Hajim e Lili. Insieme trovarono rifugio ad altre venti persone nel magazzino sul retro della gelateria di un italiano, a Lövölde tèr, appena un po' fuori dalla zona del ghetto ebraico che i nazisti avevano costituito. Il 18 gennaio l'Armata Rossa liberò Pest e Péter e la sua famiglia poterono uscire dal loro rifugio. Erano sopravvissuti all'Olocausto.
La sua storia, tornata alla luce grazie alla ricerca appassionata e puntigliosa del giornalista e storico ungherese Gabor Dombi, è stata trasposta da Tamar Meir in un bellissimo libro per bambini dal titolo Il gelataio Tirelli - "giusto tra le nazioni" pubblicato da Gallucci nel 2018, impreziosita dai meravigliosi disegni di Yael Albert, già tradotto anche in inglese, ceco, russo e ungherese, ed è una bella risposta a chi si interroga come poter raccontare l'orrore che è successo nel cuore della civilissima Europa ai bambini di oggi.
Dopo la guerra Péter Meyer, come tanti degli ebrei di Budapest rimasti miracolosamente in vita, emigrò in Israele, assunse il nome ebraico di Jichak, si laureò in chimica all'università, mise su famiglia e divenne capo dipartimento, ma non dimenticò mai il proprietario della gelateria a cui doveva la sua vita, un italiano di Budapest. L'italiano si chiamava Francesco Tirelli, era basso di statura e moro, viveva a Budapest da 18 anni, era maestro di scherma, spesso in bolletta e noto per il carattere irascibile. Era morto negli anni ‘50 in Svizzera in carcere, in circostanze sospette e, grazie agli sforzi di Péter, dal 2018 è uno dei Giusti del Mondo riconosciuti dallo Yad Vashem di Gerusalemme. Questa è la sua storia*.
Francesco Tirelli, ragazzo del '99
Francesco Tirelli, era nato a Campagnola Emilia, in provincia di Reggio Emilia, figlio del proprietario di un negozio di alimentari. Tirelli era uno dei ragazzi del ‘99, (nato nel marzo 1898), che dopo la guerra si ritrova ventenne in un Paese in ginocchio in cui deve inventarsi una professione.
Nel 1920 si trasferisce a Venezia, (dove si sposerà l'anno dopo) che è ancora la Venezia grande e influente città italiana e non l’odierno museo all'aperto, storicamente protesa verso l'est e la mitteleuropa. È così che Tirelli trova lavoro come maestro di scherma presso il circolo aperto da Giuseppe Galante, che inizia a seguire nei suoi giri in Croazia e Ungheria dove la scherma si sta affermando come la naturale prosecuzione sportiva dell’educazione militare di ogni buon cadetto dell'alta società (in particolare la sciabola, che continua la tradizione dei reparti di cavalleria ussari). Galante è chiamato a dirigere il primo circolo di sciabola di Zagabria, presso cui collaborerà regolarmente anche Tirelli fino al ‘41.
Il maestro di scherma
Nel frattempo però ha lasciato l'Italia. Sono anni difficili per chi è giovane nel nostro Paese, forse in cuor suo sa che non tornerà più in Italia. Nel '26 ha accettato la proposta della sala scherma di Budapest diretta da Forod Károly, sotto le insegne della Mtk, la polisportiva ebraica di Budapest. La Mtk, acronimo di Magyar Torna Kör - Circolo Ginnastica Ungherese - è l'unica grande polisportiva della capitale ad avere la parola "ungherese" nel nome ed è la prova di come fosse integrata all'epoca la comunità ebraica in una grande capitale di cui costituivano circa un quarto della popolazione (250mila ebrei su 1 milione di abitanti) e dove formavano una borghesia attiva e feconda, con un’importante presenza nel mondo della cultura e dello sport.
Insieme a lui arriva un altro maestro di scherma italiano, il napoletano Siniscalco, maestro di tutte e tre le armi, e ambidestro, che nel ‘24 aveva vinto i campionati militari italiani in tutte e tre le discipline. Avere un maestro italiano è di sicuro prestigio nei circoli schermistici di Budapest, dove aleggia il mito di Italo Santelli, che ha stupito tutto in un'esibizione del 1896, durante l'Esposizione Universale di Budapest e, giunto l'anno dopo in Ungheria, è diventato il nume tutelare della scherma ungherese. Quella di Santelli a Budapest è la sala scherma più importante al mondo; fra i suoi allievi, che si giovarono della nuova tecnica schermistica della scuola italiana, si contano numerosi campioni olimpici, mondiali ed europei, su tutti quell'Aladár Gerevich capace di vincere sei medaglie d'oro alle olimpiadi nell'arco di ben 28 anni da Los Angeles 1932 a Roma 1960, generazioni che conquistarono ininterrottamente per 50 anni l'alloro olimpico nella sciabola. Unico intermezzo quello del nostro Nedo Nadi.
Un uomo difficile
I maestri di scherma devono anche cimentarsi in tornei ed esibizioni. Vi partecipa anche Tirelli, che viene descritto dalle cronache dell'epoca come "l'italiano di statura estremamente piccola", "Il piccolo italiano, molto mobile, con uno straordinario senso del ritmo, un vero spadaccino", ma che si fa conoscere anche per il suo temperamento focoso: dopo aver descritto le sue proteste e intemperanze l'articolo del Budapest Hírlap lo trasforma in uno che "non ha le qualità per potersi misurare contro qualsiasi schermidore magiaro di terza categoria dopo che ha trasformato l'incontro in un duello all'ultimo sangue, togliendo tutta la bellezza dell'arte della scherma".
Nel '29 è tra i quattro italiani a cui viene riconosciuto l'attestato di maestro di scherma, tra i 65 complessivi abilitati, diventato obbligatorio per esercitare la professione. Tirelli diventa aiuto maestro di Santelli, nella sala scherma di Erzsébet körút 1-3, nel vero cuore della città sopra piazza Blaha Lujza, alle spalle del Nuovo teatro nazionale. Ma viene licenziato l'anno dopo. sempre per in temperanze quando l'annuale incontro amichevole tra rappresentative italiane e ungheresi, da lui organizzato, finisce quasi in rissa, costringendo anche il patron dell'evento, l'uomo più potente d'Ungheria, il reggente Miklós Horthy, a lasciare le sale del Vígadó, il centro culturale di Pest che fungeva da palcoscenico.
Nel 1930 viene assunto dall'associazione sportiva Haggibor (‘eroe’ in ebraico), degli ebrei di Cluj, passata alla Romania nel 1920, ma in cui è rimasta una vasta presenza magiara.
Nel '31 durante l'annuale gara italo-ungherese non gli viene neanche concesso di avvicinarsi agli atleti e devono intervenire le forze dell'ordine. Scrivono i giornali: "Nonostante il “maestro” non sia più membro del fascio di Budapest, penseremo a come poterlo isolare completamente, in quanto le sue azioni compromettono l’immagine degli italiani che vivono qui". Ma Tirelli non solo è ancora iscritto al partito fascista, ma è anche un membro attivo della comunità italiana di Budapest, tra coloro che si adoperano per la nascita nel gennaio del '29 della scuola per l'insegnamento in italiano (che conta 65 alunni) e la creazione dell’Associazione culturale italo-ungherese. All'inaugurazione erano presenti il conte Durini di Monza, ambasciatore italiano a Budapest, e il principe Pignatelli di Montecaldo, capo del fascio. Alla fine della cerimonia si proietta la pellicola "Duce".
Il gelato
La scherma è uno sport invernale, che si svolge al chiuso delle sale scherma. I contratti che firma sono stagionali. Per cavarsela nella bella stagione Tirelli decide di fare quello che gli italiani all'estero hanno sempre fatto, oggi come a inizio novecento: aprire un ristorante italiano, o una pizzeria o una gelateria. Del resto anche il venditore di torrone sotto la scuola dell'VIII distretto all'inizio de "I ragazzi della via Pál" era italiano, e poi siamo in anni in cui la libera imprenditoria è l'unico sbocco alla mancanza di lavoro in un'Europa in profonda crisi e che in Ungheria, oltre al crollo dei mercati e all'iperinflazione vede anche la difficile ricostruzione di un'economia a pezzi dopo la perdita di due terzi del territorio con gli accordi di pace del 1920.
La scelta cade su una gelateria, una scelta facile vista la popolarità delle gelaterie italiane a Budapest, tale che anche qualche gelataio ungherese si italianizza il nome e sono comparse le gelaterie di Djulio Alba (Gyula Wiesz) o Pietro Negro (Péter Fekete).
Gli italiani avevano introdotto nuovi gusti, tecniche pasticcere e soprattutto vendevano a prezzi imbattibili (solo 10 filler) gelati da degustare passeggiando e non seduti in sala, come nelle pasticcerie ungheresi tradizionali. Ci fu una vera e propria guerra da parte della categoria contro i gelatai italiani per far ritirare loro la licenza o porre un tetto al numero di esercizi, compreso un tentativo presso il Ministero dell'agricoltura per regolamentare gli ingredienti del gelato e legare la loro vendita a una qualifica. Ma alla fine anche gli ungheresi dovettero ridurre i prezzi a 10 filler.
La guerra d'Etiopia e la provincia
Nel '35 un migliaio di persone festeggiano nella sede del fascio di Budapest di Akadémia utca 5 lo scoppio della guerra di Etiopia cantando ‘Giovinezza’ e ascoltando il discorso di Mussolini alla Radio italiana. Molti degli italiani di Budapest torneranno in patria, per rispondere alla chiamata alla armi o per stare vicini alla famiglia in tempi difficili. Tirelli, che ormai si fa chiamare Ferenc e ha preso i documenti ungheresi, resta invece in Ungheria. È ormai un uomo di queste terre, con figli sparsi tra Venezia, Zagabria e Bratislava, secondo Meyer.
Ritorna alla sala scherma di Santelli, vive là vicino, a Rákóczi út 34, ma il suo nome non compare più in alcuna competizione ufficiale o esibizione, e d’estate apre gelaterie in provincia: a Esztergom, 80 chilometri a nord di Budapest o a Nyíregháza, al confine con l'Unione Sovietica, dove l'insegna "Gelataio italiano" che compare su Zrinyi Ilona utca, la via pedonale del centro, è la prima in lingua straniera della cittadina.
Le leggi razziali
Sa che non tutti lo amano: quando escono le leggi razziali in Ungheria (la "prima legge sugli ebrei" del '38 per assicurare efficacemente l'equilibrio sociale ed economico del paese, seguita da quella del '39 per la limitazione dell'espansione sociale ed economica degli ebrei) molti lo accusano di essere ebreo e mentire sulla sua vera identità giudaica. Replica da par suo proponendo un premio di 1000 pengo per chi voglia provare le accuse e invita tutti a cercare la verità presso il suo parente don Ettore Tirelli, ministro della chiesa cattolica a Carpi, Modena.
La guerra arriva in Ungheria nel '41, e Tirelli si ritrova senza stabilità ecomica con problemi col fisco e con i creditori, è più volte citato in giudizio da Ignac Hrennrfeld, che ha una ditta di congelatori, a cui non ha ancora pagato i frigoriferi per la gelateria che ha aperto nel frattempo a Budapest a Lövölde tér 7. È una persona irascibile, che non ha combinato molto nella vita, con lavori stagionali, pieno di debiti e che non paga tasse, e sarà un eroe.
Giusto tra gli uomini
Non esita, infatti, ad offrire rifugio nel magazzino sul retro della gelateria a una ventina di ebrei quando nel '44 la situazione per gli ebrei di Budapest precipita. A marzo Eichmann è arrivato a Budapest per organizzare le deportazioni degli ebrei verso i campi di concentramento, a ottobre le temutissime Croci Frecciate, il partito filonazista ungherese di Ferenc Szálasi è andato al governo; il 2 dicembre gli ebrei rimasti in città, donne, vecchi e bambini, sono stati rinchiusi nel ghetto istituito nel VII distretto. Chi può cerca rifugio in provincia o in qualche nascondiglio in città. Sanno che l'Armata Rossa è vicina. È un freddo inverno, ma la primavera è vicina.
Il magazzino è abbastanza grande, male illuminato e senza servizi igienici, i letti sono improvvisati sugli scaffali, ma lì le famiglie di Peter Meyer e Chana sono al sicuro. Tirelli li va a trovare, porta acqua, cibo, giornali. Si occupa anche di svuotare il secchiello con gli escrementi dei suoi ospiti, che si industria per buttare, non per caso, nella vicina piazza Oktogon, che dal ‘36 è diventata piazza Mussolini. Ha procurato per gli adulti anche dei documenti falsi, che servono però a poco quando viene fermato dalla polizia locale mentre è in strada con il padre di Hanna. Non si perde d'animo, si rivolge al suo compagno in italiano, lui fa finta di capire, e poi si lamenta col celerino che gli italiani sono sempre scambiati per ebrei! La sua prontezza salva la situazione.
La morte in carcere a Ginevra
Dopo la guerra riaprì due grandi gelaterie a Budapest, ma ottiene anche la licenza per l'installazione di motori e macchinari, si trasferisce dall'altra parte della città a Buda, dalle parti di Bela Bartók utca, a Verpeleti 15, ma poi è costretto a lasciare Budapest, per sempre. È calata la Cortina di ferro e lui, straniero proveniente da un Paese occidentale viene espulso dalla neonata Repubblica Popolare Ungherese.
Torna in Italia, ma dopo tanti anni all'estero forse lì è ormai fuori posto: negli anni ‘50 si sposta in Svizzera, a Ginevra, dove viene fermato per commercio illegale di orologi. Muore per emorragia cerebrale quattro giorni dopo l'arresto, alle 4:30 del 16 marzo 1954. Ha 56 anni. Secondo la versione ufficiale delle autorità, è stato ritrovato con una ferita aperta sul capo dopo che in un eccesso di ira ha sbattuto ripetutamente la testa contro il muro della cella (dove abbiamo sentito questa storia recentemente?). Così muore un giusto.
Diceva Giorgio Perlasca, altro giusto nel mondo, per aver salvato la vita di circa 1500 ebrei di Budapest autoincaricandosi nuovo ambasciatore spagnolo in Ungheria in quei tragici mesi, di non sentirsi affatto un eroe, che quello che aveva fatto lui l'avrebbero fatto tanti altri. Tanti altri italiani di Budapest come Francesco Tirelli, maestro di scherma, gelatiere.
FONTI
*Gabor Dombi, FONS Forraskutatas es torteneti Segedtudomanyok XXVII 2020 pdf - e altri lavori su https://infopoly.info/tirelli/
e Angiolino Catellani Ricerche Storiche Anno LIII n. 150 nov. 2020